Polveri sottili e nanopatologie: una persona su 5 muore di inquinamento !

 

Abbiamo sentito parlare più volte di polveri sottili, nanopolveri o particolato e dei valori riguardanti la loro grandezza, pm 10, pm 2,5 ecc. ma non sentiamo dire altrettanto spesso che queste parole o numeri significano solamente una cosa: VELENO!

Le polveri sono un fattore del tutto naturale, generate da erosione delle rocce, eruzioni vulcaniche, incendi spontanei delle foreste e altri fenomeni naturali, ma credo che a questi, essendo appunto naturali, non possiamo fare altro che quello che abbiamo già fatto, cioè esserci adattati dopo migliaia di anni di evoluzione. Non contenti di questo ci siamo impegnati, devo dire con successo, a “costruire” qualcosa di meglio, “le nanopolveri” queste, possiamo affermare con orgoglio, le produciamo quasi esclusivamente noi. Le nanopolveri o nanoparticelle o particolato o comunque le si vogliano chiamare sono elementi microscopici generati per lo più dai processi di combustione ad altissima temperatura, sono inorganici, non biodegradabili e non biocompatibili, e sono di dimensioni estremamente più piccole, nanometriche appunto, vale a dire estremamente dannosi per la salute, e sono soprattutto volatili, cioè rimangono a lungo in sospensione nell’aria che respiriamo tutti. Il ridicolo è che per non destare troppa preoccupazione ci dicono ufficialmente che il particolato si deposita comunque entro poche centinaia di metri dalla sua fonte, ma questo non ci spiega come mai di tanto in tanto la sabbia del Sahara, ben più grande e ben visibile, si deposita sui panni stesi a migliaia di chilometri di distanza in tutto il mondo.

Anche se non ufficialmente riconosciuta e assolutamente non approfondita, anzi ignorata, esiste una correlazione che lega diverse malattie, allergie e tumori, alla presenza di nanoparticelle, che date le loro dimensioni nanometriche una volta inalate o ingerite passano facilmente dal sangue all’interno delle cellule senza che possiamo farci niente, sono troppo piccole perché i nostri “filtri” le catturino e anche quando vengono attaccate dal nostro sistema immunitario, cioè “mangiate” dai macrofagi, essendo non biodegradabili, questi non possono digerirle e quindi eliminarle, rimangono nell’organismo e penetrano all’interno delle cellule. Lì innescano reazioni che danno origine a diverse patologie chiamate “nanopatologie”.

Le nanopatologie

Come definite dalla dottoressa Antonietta Gatti, ricercatrice dell’università di Modena e dal dottor Stefano Montanari, direttore scientifico del laboratorio Nanodiagnostics, sempre a Modena, [1] le nanopatologie sono le malattie provocate dalle nanoparticelle inorganiche che riescono a penetrare nell’organismo. Gli effetti provocati da queste sostanze sono devastanti. Una volta penetrate nell’organismo, essendo non biodegradabili non ce ne possiamo più liberare e peggio ancora essendo non biocompatibili, cioè patogeniche, generano le cosiddette nanopatologie che sono la causa di malattie allergiche, infiammatorie, neurologiche, malformazioni fetali e soprattutto tumori. Secondo una recente indagine del CNR in Italia il 20% della mortalità è legata a cause ambientali prevenibili. Vale a dire che una persona su cinque muore di inquinamento!

I modi in cui veniamo in contatto con queste nanopolveri sono diversi. Il principale è per inalazione dato che un’azione che compiamo instancabilmente, anche quando dormiamo, è quella di respirare. Siccome abbiamo detto che queste nanoparticelle restano a lungo nell’aria e viaggiano per migliaia di chilometri non è proprio necessario abitare nei pressi di un impianto industriale per trovarne abbondantemente anche nell’aria di casa nostra. Un altro modo di venirne in contatto è l’ingestione. Queste particelle viaggiano attraverso l’aria ma a un certo punto si depositano sul terreno quindi sui campi coltivati, sulla frutta e la verdura che consumiamo e sui pascoli che consumano gli animali che producono latte formaggi e carne che poi consumiamo noi. E’ quasi impossibile lavare un cavolo o una lattuga sui quali si siano depositate nanopolveri, comunque è sicuramente impossibile lavare il latte. Ancora un’altra via è l’assorbimento attraverso la pelle, sicuramente importante ma più trascurabile vista la sua funzione che è proprio quella di difendere l’organismo dagli agenti esterni e che in più è per la maggior parte protetta dai nostri abiti.

Le fonti di inquinamento da polveri, a parte quelle naturali già citate, e contro le quali in quanto naturali abbiamo naturalmente sviluppato delle difese, sono svariate. Quello che ci riguarda è la produzione di “nanopolveri” o “nanoparticelle” ossia elementi inorganici, non biodegradabili e non biocompatibili di dimensioni talmente piccole da penetrare facilmente all’interno delle nostre cellule. La principale e più pericolosa fonte di queste particelle è la combustione. Tutti quei processi sia naturali, industriali o anche domestici che implicano la combustione generano polveri sottili, nessuno escluso, dal fumo di una sigaretta alla ciminiera di un inceneritore, ovviamente ognuno con le proprie responsabilità. I motori a scoppio dei nostri mezzi di trasporto, soprattutto quelli diesel, sono vere e proprie “fabbriche” di particolato, in primo luogo per i carburanti combusti, ma non sono da trascurare fattori come l’usura degli pneumatici o dell’asfalto sul quale si muovono, gli edifici che lentamente ma inesorabilmente si degradano rilasciando polveri nell’aria, le vernici o pitture delle pareti delle nostre case, i pavimenti sui quali camminiamo (in particolare quelli, solitamente di linoleum, che ancora esistono in scuole e ospedali e che ancora, invecchiando, rilasciano fibre di amianto) fino al coltello del macellaio, affilato sulla cota e non sciacquato prima di tagliarci la nostra bistecca. Se volessimo prestare “troppa” attenzione ci accorgeremmo che quasi ogni azione che compiamo e che non possiamo evitare di compiere genera particelle e queste dovrebbero essere sufficienti. Perché allora accanirci a produrne, oltretutto inutilmente, a livello industriale?

Inceneritori e nanopolveri
Fin dai primi insegnamenti abbiamo aquisito le leggi fondamentali della fisica e della chimica. Cioè che la massa della materia la si può trasformare ma non eliminare. La combustione dei rifiuti è un procedimento chimico che li fa scomparire dalla nostra vista, ma in realtà li trasforma solamente in altre sostanze;
poche ceneri, poca energia e tante nanoparticelle, equivalenti a circa i due terzi della loro massa, che a fine combustione si disperdono per chilometri nell’atmosfera. Da qualche tempo è stato inventato il termine “termovalorizzatore” per indurci a pensare che la combustione dei rifiuti; creando energia, sia il modo migliore di liberarcene, e tutto sommato per farceli pagare. Si, farceli pagare! Perché sulle bollette dell’energia che consumiamo una percentuale è destinata a sovvenzionare le cosiddette “Fonti Rinnovabili”, e i termovalorizzatori vi rientrano. Senza contare che la maggior parte dell’energia prodotta viene utilizzata per la combustione stessa dei rifiuti, si rischia comunque di entrare in un circolo vizioso, se questi impianti producono energia dai rifiuti bisogna produrre sempre più rifiuti. Chi ci guadagna alla fine è solo chi questi impianti li costruisce. Credo che a questo punto un’inversione di marcia sia obbligatoria. Invece di investire i fondi destinati alle fonti rinnovabili, che comunque paghiamo, per costruire inceneritori “rinnovati” si potrebbero usare per incentivare pratiche da sempre esistenti, come ad esempio una seria raccolta differenziata, compostaggio dei rifiuti organici, riciclaggio, o semplicemente limitare la produzione di rifiuti superflui, come ad esempio i contenitori “usa e getta” che sono normalmente utilizzati per la maggior parte degli alimenti che consumiamo quotidianamente o le doppie confezioni di moltissimi prodotti normalmente usati o sopratutto investirli nella ricerca di nuove tecnologie a basso impatto ambientale.

Una valida alternativa ai moderni “antiquati” termovalorizzatori può essere il progetto sviluppato da Plasco Energy Group [2]. Questo processo implica l’applicazione di elevate temperature sui materiali di scarto in un ambiente completamente sigillato e privo di ossigeno. Il risultato di questo processo è la produzione di gas sintetico altrettanto pulito di quello normalmente utilizzato per la produzione di energia, vapore acqueo, anche questo utilizzabile, e come terzo ed ultimo risultato un prodotto solido vetrificato che può anch’esso essere riutilizzato per esempio come materiale da costruzione. Il tutto senza alcuna emissione di fumi, nanoparticelle volatili o quant’altro nell’aria che respiriamo.

Flavio Privati

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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