La madre del soldato

Stati Uniti – 11.3.2008
La madre del soldato

La lettera di un’americana a tre donne irachene le cui vite si sono tragicamente incrociate con quella del figlio Marine, che ora vive nel rimorso

 

Il vapore caldo della mia tazza di caffè è svanito ormai da tempo mentre mi affanno a scrivere questa lettera a voi tre. Voi non mi conoscete, e una di voi non avrà mai l’opportunità di leggere questa lettera, ma ciascuna di voi ha lasciato il suo segno nella mia anima. Nonostante non conosca i vostri nomi, capirete a chi mi rivolgo e vi parlerò da donna a donna, da madre a madre e da madre a figlia.
Prima che inizi vorrei dirvi, nel caso non lo sappiate già, che l’esercito degli Stati Uniti può insegnare ad un uomo come uccidere ma non può insegnare a quello stesso uomo come affrontarne le conseguenze dopo averlo fatto. Per questa ragione, tra le molte altre, mio figlio John, un Marine, che ha toccato le vostre vite in Iraq (e di conseguenza anche io attraverso di lui), è sotto terapia insieme ad altri veterani di questa e di altre guerre precedenti. Sono in tutto dieci combattenti feriti, cinque in Iraq e cinque nel precedente fiasco americano chiamato Vietnam. John ha legato molto con uno di questi veterani del Vietnam più vecchi, “Vecchio Uomo” lo chiama. Come mio figlio, anche quel “Vecchio Uomo” è entrato da poco nel programma. La ragione per cui vi racconto di lui è perché gli ci sono volute migliaia di bottiglie d’alcool, dozzine di lavori diversi, sette matrimoni e quarant’anni per riconoscere di non essersi mai ripreso dalle sue esperienze di guerra. Non si sono mai ripresi veramente, voglio che lo sappiate. Così mi rivolgo a voi tre, donne irachene, perché, sebbene non lo avessimo capito da subito, le nostre strade si sono tragicamente incrociate, ed ora siamo legate. Questo legame mi ha fornito alcuni dettagli sulle vostre vite che sento di dover condividere, ammesso che anche solo un po’ di luce possa illuminare luoghi oscuri. C’è stato uno scontro a fuoco a Baghdad, una battaglia a 360 gradi nella quale i Marines erano bersagliati da tutte le direzioni e da sopra le loro teste. Tu eri lì, non come partecipante attiva allo scontro, ma come civile, tu sei il mio primo legame, sebbene l’ultima di cui sia venuta a conoscenza, perché mio figlio non è stato capace di parlarmi di te se non di recente. L’addestramento fa si che un Marine risponda al fuoco verso qualsiasi cosa si muova, veicoli, cani randagi, la vaga forma di una camicia. Il Marine che ha sparato a tuo marito e ai tuoi due bambini era a circa 90 metri di distanza, ha respinto la sua arma in preda all’orrore dopo la raffica di colpi ed ha visto la tua famiglia morire. Non te ne sei accorta lì sul momento, ma ti ha vista correre allo scoperto verso la tua famiglia. Ti ha vista avvolta nel tuo scialle azzurro mentre passavi da un corpo all’altro. Ha cercato di distogliere i suoi occhi da te mentre raccoglievi tuo figlio morto e poi l’altro e nel tuo dolore piangevi. Ha cercato di guardare altrove, ma quel colore celeste era sempre nel suo campo visivo, e lo attirava, lo richiamava. Potrebbero essere stati cinque, sette o anche dieci minuti quando, in quel che John descrive come la cosa più agghiacciante che abbia mai visto, quel giovane Marine non riuscì più a sopportare i tuoi lamenti e ti ha ucciso. Ecco vedi, noi siamo legate perché mio figlio ti ha vista morire. Ti importa qualcosa dell’uomo che ha ucciso te e la tua famiglia? Forse no, ma lui è nato in quello che noi chiamiamo il Profondo Sud. 6 piedi e 5 pollici (1.98m – n.d.t.) di salute e solidi muscoli, sembrava il perfetto Marine. Nonostante sia tornato dall’Iraq tutto intero, le cose non gli sono andate molto bene da quel giorno a Baghdad. Dopo mesi dal ritorno in patria, ha collezionato molteplici accuse di aggressione a causa dell’alcool ed è caduto in tutti i tipici comportamenti autodistruttivi dei combattenti veterani.
Alla fine, in quello che John chiama Karma, si è gettato da una scogliera sul mare ed è stato in coma per mesi. Se non il Karma, forse una penitenza auto imposta, ma solo ora sta imparando di nuovo a parlare.
Alla madre di Fallujah, la quale ha perso anche lei la sua famiglia. Non molto tempo fa ho incontrato un soldato scelto che, durante l’assedio alla vostra città, decise che lui e i suoi uomini sarebbero dovuti entrare in casa tua in cerca di combattenti (nemici – n.d.t.). Lui ha preparato e piazzato dell’esplosivo con un timer per aprire un varco su un lato dell’edificio. Ha raccolto tutte le informazioni in suo possesso, ha fatto un quadro della situazione e alla fine ha dato ordine di far esplodere l’ordigno, i suoi uomini si sono lanciati nella breccia appena aperta e infine lui dietro di loro. Ti ricorderai di lui perché quando è entrato, trovando tuo marito e i tuoi bambini morti a causa dell’esplosione, tu stavi lì in piedi urlando “lemad’a, lemad’a” (perché, perché?). Ti ricorderai di lui perché, quando ha visto cosa aveva fatto, le sue ginocchia hanno ceduto e il sangue del suo volto ventiduenne si è prosciugato. Ti ricorderai di lui perché è caduto all’indietro contro il muro afferrandosi il petto e cominciando ad ansimare.

Hai visto la sua reazione. Lo hai visto farsi carico della mostruosità dell’ordine che lui stesso aveva dato e quando alla fine i suoi occhi hanno incontrato i tuoi, hai posato la tua mano sulla sua guancia e hai detto, “masha, Allah” (volontà di Dio). Dovresti sapere che la tua compassione, la tua comprensione ed il tuo perdono quel giorno lo hanno distrutto.
Ti prego sappi che lui darebbe la sua vita per annullare ciò che ha fatto. Ti prego sappi che lui lavora duro per porre fine all’occupazione
del tuo paese. Ti prego sappi che ti ho pensato ogni giorno dal momento in cui lui mi ha raccontato la tua storia.
Ora a te giovane ragazza di Ramadi, non dovresti avere più di sei anni in questo momento. Per fortuna non ricordi quel giorno di Ottobre del 2004 quando i tuoi genitori morirono. Per fortuna sei lontana dall’Iraq ora. Con te sento il legame più stretto, per te sento la più grande responsabilità e il più profondo tormento. Vedi, tuo padre voleva solo salvarti. Lui voleva solamente strapparti dalle braccia della tua mamma morta, e provandoci ha dato la sua vita, perché ti amava immensamente.

Mio figlio e il suo sergente non hanno capito. Hanno visto il tentativo di tuo padre come una minaccia per i loro compagni e hanno fatto fuoco uccidendolo. Vedi, noi due siamo legate perché mio figlio ha ucciso tuo padre. Ti prego sappi che quando gli uomini
del plotone ti hanno trovata, spaventata e in lacrime, molti di loro, tra cui anche John, sono crollati a pezzi. Li hai distrutti. Tu, con quei grandi occhi marroni spaventati e i tuoi riccioli neri, hai messo molti di loro in ginocchio.
Ti hanno fatto una foto quel giorno. Tu sei un esile fagotto di fiori
rosa e blu dalle maniche gonfie posta sulla giacca mimetica del sergente, il quale non ti ha messo giù per ore. Ti prego sappi che John conserva ancora la tua foto sebbene la guardi di rado perché gli fa così male ricordare.
Cosa posso dirti? Che mi dispiace vien da sé, non è necessario che lo dica. E’ di qualche aiuto sapere che mio figlio soffre a causa di quel giorno? Conta qualcosa ai fini della tua vita il fatto che porterà con se la tua foto per sempre? Probabilmente no, non vedo come possa, ma ti dirò comunque che ti voglio bene.
Da donna americana a voi tre donne irachene, sicuramente non potete accogliere di buon grado questo legame, ma ciò nonostante io lo sento. Aver strappato a ciascuna di voi le vostre famiglie mi ha fatto perdere mio figlio, tanto che lui non potrà mai tornare ad essere lo stesso. Per questo noi saremo profondamente legate per sempre. A ciascuna di voi, “Assalamu alaikum” (la pace sia su di voi).
La mamma di un Marine

Da Peace Reporter

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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