La Vita e la Morte

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“La Vita e la Morte” di G. Klimt

Si deve morire, ma perlomeno si può morire da saggi

(Asiablog.it) — Nella (nostra) società “occidentale” non si parla più abbastanza della Morte. Ogni giorno perdiamo tempo nel discutere di cose non troppo importanti, o a ragionare su concetti astratti, che non esistono se non nella nostra mente. Possiamo perdere un’intera mezza giornata in giro per negozi prima di scegliere il regalo più adatto per un conoscente che festeggia gli anni, possiamo discutere per mesi se sia meglio andare in vacanza al mare o in montagna, passiamo i pochi decenni che ci sono dati da vivere in questo mondo (almeno con questa forma corporale) ad affannarci in mille piccolezze, ma non ci si prepara abbastanza per il viaggio che tutti prima o poi dovremo affrontare. La Morte.

Siamo proprio come quei porci sempre intenti a raspare per terra e abbuffarsi, incoscienti del fatto che presto passeranno dal porcile alla tavola. E a tavola, loro, non mangeranno.

E allora eccomi qui a scrivere queste note.

La vita mi piace. Diciamo che generalmente la filosofia di vita da me seguita è stata la seguente:

Ogni mattina, una volta svegliatomi, dopo aver cercato di ragionare sulla fortuna di avere a disposizione un altro giorno di vita, mi sono chiesto: “se questo fosse l’ultimo giorno della mia vita, farei quello che sto per fare?”

Quando la risposta, per troppi giorni di fila, è stata NO, allora ho capito che stavo sbagliando, che era il momento di provare a cambiare e ho iniziato a ragionare su cosa e come cambiare. Ho cercato di non lasciarmi trasportare dalla vita come un pezzo di legno dalla corrente di un fiume. Ho cercato di non trascinarmi stancamente e ossequiosamente attraverso le piccole grigie vicende quotidiane. Ho cercato di non essere schiavo della consuetudine. E devo dire che fino ad oggi mi è andata anche abbastanza bene, sono stato sempre in buona salute e sono riuscito a cambiare le cose che più detestavo.

Mi sono accorto, però, che a volte qualche nostro caro, un familiare o un amico, ci lascia. Prima si ammala e poi muore. A volte muore soltanto, senza prima ammalarsi più di tanto. Fatto sta che crepa, scompare, non c’è più. Una volta che qualcuno parte, resta il vuoto in chi sopravvive. Non possiamo più parlarci, non possiamo più incontrarlo. Non si può più toccare, abbracciare, e via dicendo.

Tutti i sopravvissuti addirittura iniziano a dimenticarsi dei lati negativi del suo carattere, di quelle piccolezze che a volte, magari stupidamente, ci facevano incazzare, e tutti improvvisamente ricordano solo i suoi pregi, e capiscono che non hanno speso insieme a lui abbastanza tempo. Che se n’è andato ma avrebbe avrebbe avuto ancora tanto da dire e da fare. E tutti pensano: “che peccato… se potessi tornare indietro cercherei di apprezzare ancora di più ogni singolo momento che ho avuto la fortuna di spendere con lui”. Ma non si può.

Il tempo per noi esseri viventi procede come una marcia militare, va avanti sempre dritto e mette un po’ paura.

E’ vero anche, però, che il passare del tempo a volte ci consola. Col tempo il dolore della scomparsa di una persona cara diminuisce un po’, ci si abitua a vivere senza lo scomparso. Ma il buco rimane.

La Morte, dunque.

Non so se l’avete capito, ma nell’arco della vita, la morte è l’unica certezza, l’unico punto fermo che un essere umano si ritrova ad avere.

Da quando nasciamo, non facciamo che avvicinarsi alla morte. E, capirete, questo non è un punto di partenza simpatico per tirarci fuori una filosofia. Ed ecco, forse, la ragione principale perchè da sempre l’uomo ha cercato di consolarsi inventandosi qualcosa dopo la morte (Oltretomba): paradisi, seconde vite, altri mondi, resurrezioni, anime, reincarnazioni, fantasmi, spiritismi e altre credenze bislacche… Credendo, o forse sarebbe meglio dire sperando, che dopo la morte ci sia qualche cosa, che la vita possa continuare e migliorare. Dalla paura della Morte (tanatofobia) sono nate un sacco di Religioni, che hanno dato un sacco di speranza ad un sacco di gente per un sacco di secoli e millenni. La speranza che la loro dura e breve vita di merda fatta soprattutto di fame, stenti, fatica e sofferenza non fosse che l’ombra di qualcosa di molto più bello, appagante e durevole. E magari infinito.

Che meraviglia il cervello. Il cervello umano può veramente inventare mondi fantastici, paradisi sopra alle nuvole, divinità potentissime, mondi infinitamente giusti, miti, leggende e via dicendo. Addirittura, innumerevoli sono i “grandi cervelli” che hanno inventato o hanno voluto credere a qualche forma di aldilà. Lo stesso Socrate, spesso considerato tra le migliori teste pensanti che la nostra razza abbia espresso, si illudeva a volte di essere destinato a ritrovarsi in un posto magico dove per l’eternità avrebbe potuto continuare a discutere – se c’era una cosa che piaceva al grande Socrate era proprio passare le giornate a chiacchierare con gli amici al bar – insieme a tutti gli altri saggi. (Quello immaginato dal filosofo di Atene era un paradiso alquanto aristocratico).

Io, purtroppo, non sono tra quelli che si illudono troppo. Non credo che “non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Apocalisse 21, 4).

E’ chiaro che la vita degli animali non è eterna. Non siamo eterni, tutti quelli vissuti prima di noi sono crepati e noi siamo destinati a crepare. Ciò può non farci piacere ma è così; nessuno è mai campato più di circa 120 anni. Questa è la brutta notizia.

Quella buona, invece, è che possiamo trovare diversi lati positivi della nostra mortalità: basta guardarsi intorno per capire che “Tutto si crea e nulla si distrugge”. In Natura tutto muore proprio perchè la vita possa continuamente rinnovarsi: non è sbagliato affermare che in Natura dalla Morte rinasce la Vita. Per cui la Morte èla Madre della Vita!

Stiamo parlando di un cerchio, un ciclo: vivere è una parabola verso la Morte, ma la Natura non spreca nulla, e utilizzerà questa morte per far vivere qualcos’altro.

“I nostri corpi non sono che le foglie appassite sull’albero della vita” (Albert Einstein).

Secondo molte filosofie occidentali, la Morte è l’antitesi della Vita: sono due termini diametralmente opposti, senza alcuna attinenza, assolutamente antitetici. Ma non c’è nulla di più sbagliato.

Al contrario, molte filosofie orientali, tra le quali il Taoismo, considerano Vita e Morte in stretta relazione tra loro, come due stadi necessari della vita universale sulla Terra, e della vita individuale degli esseri viventi. Questa visione non è solamente più poetica di quella delle religioni mediorientali, ma è anche più scientifica.

Le espressioni che in Occidente si usano più comunemente come eufemismi della parola “morte”, sono — tra le tante: il “sonno eterno”, la “partenza che non ha ritorno”, la “scomparsa”, “la Fine”.

Il Taoismo usa invece, per designare la morte, espressioni che significano precisamente il contrario, come ad esempio “il ritorno”, intendendo la rinascita ad una nuova esistenza; il “grande risveglio”, alludendo al fatto che, dopo la morte, l’uomo giunge alla sua completezza ricongiungendosi con la Divinità, o alla Natura, o al tutto. Dunque i saggi orientali vedono la morte come un processo, un divenire, naturale e benefico.

La morte, in sostanza, è solo trasformazione, come quando un cubetto di ghiaccio si scioglie al sole diventando acqua. Una parte di quest’acqua sarà assorbita dalle radici di una pianta, dalla pianta nascerà un frutto, un animale mangerà il frutto e così via… continua la Vita… continua la Vita…

Ecco perchè gli uomini che più riescono a capire il (tutto sommato semplice) funzionamento di questo Eterno Cerchio della Vita, si sentono parte di essa, in armonia con essa, e riescono così a tornare nella polvere dalla quale sono nati senza farne troppi drammi, dolcemente, senza preoccuparsi troppo dell’eternità, un concetto assolutamente non applicabile a esserini delicati come noi. Perché, come spiega Laozi:

“niente ha presa sul corpo quando lo spirito non è turbato. Niente può nuocere al saggio, avvolto nell’integrità della sua natura, protetto dalla libertà del suo spirito (Lao Tze).

Dunque si deve morire, ma perlomeno si può morire da saggi.

“E infatti i cristiani non sanno morire. Basti in proposito un confronto tra la morte di Socrate e la morte di Gesù. […] A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla “grande nemica di Dio” e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla “grande amica“. (Umberto Galimberti)

La morte, in definitiva, fa parte della vita, nel senso che ne è un aspetto fondamentale, naturale e imprescindibile. La morte dà significato alla vita, poiché una vita senza morte non sarebbe vita per come la conosciamo, non sarebbe umana, non sarebbe terrestre, non apparterrebbe neppure all’universo. Tra Vita e Morte, dal punto di vista fisico, non c’è alcuna differenza: la Morte non è che la modalità del passaggio da una forma di vita a un’altra. Insomma, la Morte è tanto normale quanto la Vita, ed è necessaria per la Vita. Non c’è troppo da spaventarsi, quindi.

La Morte per noi esseri umani è anche un grandissimo impulso a fare, a migliorarsi, a scoprire nuove cose, a progredire. È come un conto alla rovescia che ci impone di sbrigarci, di fare qualcosa al più presto possibile. Basta pensare all’Arte, che dal momento in cui il primo uomo dipinse un qualcosa in una caverna è stata (anche) un tentativo di lasciare un segno ai posteri. Molti di noi preferiscono anche essere ricordati come “uomini buoni”, invece che “cattivi”, con tutto quello che ne consegue.

Detto questo, affermo anche che non sono convinto di essere un vero e proprio “materialista” – e assolutamente non un materialista per partito preso o per plagio subito in giovanissima età, come invece sono molti credenti -, in quanto non penso che la nostra esistenza “materiale, fisica, chimica e biologica” possa esprimere tutto di noi. Non amo ridurre ai limiti propri della biologia la nostra vita, con tutto quello che ha di più profondo. So che anche concetti come l’amore, l’amicizia e via dicendo sono in ultima istanza determinati da delle scariche elettriche del nostro cervello ma… (e con questo forse sopravvaluto gli uomini), tutto questo non mi basta.

Questa mia probabile “sopravvalutazione” degli esseri umani però non ha chiaramente niente a che vedere con la fantasiosa idea di un’intelligenza soprannaturale, di cui secondo alcune religioni saremmo immagine e somiglianza, nonostante la nostra stupidità. La coscienza è una funzione di un organo (denominato “encefalo”), necessaria alla sopravvivenza del suo possessore, e che non potrebbe quindi avere alcuna utilità in un contesto diverso da quello dell’esistenza materiale e terrena del suddetto possessore.

In conclusione, non mi resta che augurarvi buona vita… e un’altrettanto buona morte.

La prima qualità di un onest’uomo è il disprezzo della religione, che ci vuole timorosi della cosa più naturale del mondo, che è la morte, odiatori dell’unica cosa bella che il destino ci ha dato, che è la vita, e aspiranti a un cielo dove di eterna beatitudine vivono solo i pianeti, che non godono né di premi né di condanne, ma del loro moto eterno, nelle braccia del vuoto. Siate forte come i saggi dell’antica Grecia e guardate alla morte con occhio fermo e senza paura.” (Umberto Eco)

(Articolo apparso anche su Mente Critica )

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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