Piazza Tiananmen, Primavera di Sangue

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Studenti cinesi in Piazza Tienanmen, maggio 1989.

4 giugno 1989: la strage di Piazza Tiananmen

Nella notte tra il 3 e il 4 giugno una lunga processione di carri armati diretti a piazza Tiananmen sfila per la Chang An Jie, la Via della Pace Eterna, il vialone che divide Pechino da Est a Ovest. Il Partito aveva perso la pazienza e, dopo mesi di lotte intestine, aveva deciso che le manifestazioni andavano spezzate e l’ordine andava ristabilito.

L’esercito inizia a sparare alla gente alle 10 di sera del 3 giugno all’incrocio tra Wukesong e Viale Chang’an, a 10 km da Piazza Tiananmen. Usano proiettili Dum-dum, quelli che si espandono all’interno del corpo del bersarglio, aumentando la gravità delle ferite. La prima vittima confermata è il 32enne Song Xiaoming, un tecnico aerospaziale.

Alle 4 del mattino, le luci sulla piazza Tiananmen improvvisamente si spengono. L’altoparlante annuncia: “Lo sgombero della piazza inizia ora, in accordo con la richiesta degli studenti di sgomberare la piazza”. Un ordine orwelliano. Gli studenti, che non avevano mai richiesto lo sgombero, rispondono cantando l’Internazionale.

I soldati uccidono un numero imprecisato di persone: a seconda delle fonti, da 241 a 2.600. Le vittime: studenti e civili che da settimane protestavano contro il regime al grido di “Viva la Democrazia”. Erano ragazzi che chiedevano più Libertà e condizioni di vita meno misere. Fino all’ultimo lanciarono slogan di amicizia verso i soldati: loro coetanei, loro carnefici.

La repressione di piazza Tiananmen poneva fine a quella che è stata definita la Primavera di Pechino. I mandanti del massacro vanno cercati nel comitato centrale del PCC, quello che il corrispondente del Corriere della Sera Renato Ferraro definì in questi termini: «una torre di Babele al cui vertice un pugno di ottantenni che, divisi da invidie e rancori, rifiuta di intendersi».

Manifestanti a Piazza Tiananmen, maggio 1989.

Manifestanti a Piazza Tiananmen, maggio 1989.

In Italia, il segretario del PCI Achille Occhetto andava a protestare sotto all’ambasciata cinese a Roma, mentre L’Unità, all’epoca diretta da Massimo D’Alema, con un articolo in seconda pagina a firma di Siegmund Ginzberg condannava i crimini cinesi dalla Lunga Marcia in poi, le torture inflitte ai prigionieri politici, la dissennatezza delle comuni, gli assurdi esperimenti agricoli voluti da Mao che portarono a ripetute carestie e alla morte milioni di esseri umani:

«È fin dal tempo della Lunga Marcia che comunisti cinesi uccidono altri comunisti cinesi, con tanto di processi farsa e confessioni fasulle, oppure con intrighi e complotti medievali. Otto milioni di proprietari terrieri e di “controrivoluzionari” [sono stati] fucilati nei primi anni ’50…».

D’altronde, per chi conosceva la Storia della Repubblica Popolare Cinese, Tiananmen era solo l’ultimo episodio di una lunga serie di orrori.

Non solo il Partito Comunista Italiano, ma il mondo intero condannava la repressione degli studenti di Piazza Tiananmen. Invano. Pechino rimase sorda a ogni pressione internazionale. Oramai il PCC aveva fatto la sua scelta: la Cina non avrebbe seguito la strada dei paesi dell’Europa Centrale e Orientale. Il regime andava difeso con fucili e carri armati, sulla pelle della gente. Sulla pelle dei giovani cinesi, degli studenti di Pechino, di chiunque non avesse accettato la repressione.

A decenni di distanza, in Cina quanto avvenne in quei giorni è ancora un argomento sensibilissimo. Il regime non tollera che se ne parli: gli eventi di Piazza Tiananmen rimangono tabù, tanto che non è stata fornita alcuna realistica versione ufficiale dell’accaduto. In una puntata dei Simpson in cui Homer e la sua famiglia vanno in Cina e passano in piazza Tiananmen, si vede un monumento con una targa con su scritto: «in questa piazza nel 1989 non accadde nulla». È esattamente quanto vorrebbe far credere il regime della Repubblica Popolare. Per chi non si accontenta di questa versione e continua a domandare, lo Stato esercita forme di censura estremamente invasive. In Cina, chi cerca notizie su quei giorni su un qualunque motore di ricerca su Internet si trova reindirizzato nella pagina web del Governo. Per cercare di bypassare la censura, i cinesi in rete devono utilizzare espedienti. Alcuni commemorano il «35 maggio» – ovvero il 4 giugno.

Dal 1989 la Cina è mutata profondamente, soprattutto dal punto di vista economco. E’ quasi un altro paese. Ma ancora oggi Pechino non brilla per il rispetto dei diritti civili, impone la censura, reprime le proteste e mette in galera persino artisti di fama internazionale come Ai Weiwei e premi Nobel come Liu Xiaobo.

Le Madri di Tiananmen, un gruppo di familiari delle vittime del 1989, hanno scritto una lettera aperta al mondo rivelando di essere state contattate da alcuni agenti segreti che volevano sondare la possibilità di offrire loro soldi in cambio di omertà, cioè un pagamento in denaro in cambio della sospensione del movimento per la memoria dei loro cari massacrati nel 1989. Le donne hanno rifiutato dichiarando che oggi «la situazione è la peggiore dal 4 giugno 1989. Il silenzio regna in tutto il Paese».

Dea della Democrazia Piazza Tiananmen


Studenti a Piazza Tiananmen il 28 maggio 1989. Davanti al ritratto di Mao si ergeva la Dea della Democrazia (mínzhǔ nǚshén), nota anche come la Dea della Democrazia e della Libertà, una statua alta 10 metri eretta dai manifestanti e distrutta dai soldati.

 

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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