Thailandia, il Re del Paese dei Sorrisi

thailandia re amato thai

Devozione per il re e per la famiglia reale thailandese

Chi è Bhumibol Adulyadej, il re della Thailandia? Un riepilogo dei fatti controversi che hanno portato il monarca Rama IX al trono, tra episodi mai chiariti, Guerra Fredda, lotta al comunismo e l’ombra delle élite thailandesi e dell’esercito

In Thailandia il 5 dicembre di ogni anno è festa nazionale. Si festeggia il compleanno di re Bhumibol Adulyadej (Rama IX della dinastia Chakri), asceso al trono del Regno della Thailandia nel 1946. Il Paese lo saluta con bandiere, canzoni, danze, spettacoli teatrali, fuochi d’artificio e folle entusiaste che gridano “lunga vita al Re!” ad ogni angolo di strada.

E dire che il monarca non sarebbe mai nemmeno dovuto salire al trono. Nato all’estero, negli Usa, ed essendo solo il secondogenito del principe Ananda Mahidol, Bhumibol aveva davanti una carriera al servizio di suo fratello maggiore, re Rama VIII. Ma il fato decise diversamente.

Nel 1946, in un episodio ancora coperto dal mistero, Rama VIII venne ucciso con un singolo colpo di arma da fuoco nel suo letto, in una stanza comunicante con quella del 18enne Bhumibol. Nonostante il segretario personale del re venne giustiziato per l’omicidio insieme a due paggi, la causa della morte non è mai stata provata con certezza – suicidio, incidente, assassinio… le opinioni ancora oggi divergono.

Diventato re in circostanze eccezionali, in pochi anni Bhumibol riuscì a ritagliarsi un ruolo fondamentale nella vita politica e nell’immaginario collettivo della nazione, trasformando l’istituzione monarchica — impopolare, discreditata e sull’orlo dell’abolizione — nella componente centrale dello stato thailandese.

L’eccezionale popolarità di quest’uomo, che tra l’altro cozza con il suo carattere schivo e riservato, è stata costruita a partire dagli anni Cinquanta attraverso una capillare propaganda, una sostanziale riscrizione della storia passata e recente, una draconiana legge sulla Lesa Maestà e una “Santa Alleanza” con il potentissimo esercito che risale ai tempi del maresciallo Sarit Thanarat, spietato dittatore della Thailandia dal 1959 al 1963.

L’ingegnosa opera di restaurazione della monarchia thailandese va collegata al bisogno di avere un’ideologia da contrapporre a quella comunista (che all’epoca appariva in inarrestabile ascesa) per proteggere le classi dominanti e continuare a sviluppare il capitalismo thailandese attraverso gli investimenti nordamericani.

All’apice della Guerra Fredda la Thailandia rappresentava una dei principali alleati statunitensi nella regione, ma aristocratici, esercito e capitalisti avevano bisogno di un simbolo che apparisse non straniero, non americano. La monarchia venne scelta per assumere questo ruolo.

Sarit promosse la sacralità della figura del re e dell’istituzione monarchica per dipingersi come l’indispensabile difensore del monarca, della religione e della nazione contro gli attacchi del comunismo. Cosi facendo, il dittatore poté legittimarsi agli occhi della popolazione, delle élite e di Washington.

Grazie agli aiuti economici americani e della Banca Mondiale, Sarit e Bhumibol fecero partire una tipica operazione di counter insurgency volta a contrastare il comunismo con bastone e carota, cioè combattendo senza pietà guerriglieri e simpatizzanti ma parallelamente cercando di migliorare le condizioni di vita nelle campagne con opere pubbliche, progetti di sviluppo, programmi di scolarizzazione e opere di beneficenza.

L’operazione, accompagnata da una magistrale propaganda e dalla censura delle operazioni più sanguinose, può essere considerata un pieno successo, suggellata dallo scioglimento del Partito Comunista (maoista) Thailandese negli anni Ottanta.

Oggi Bhumibol è il sovrano regnante più longevo al mondo e, secondo il britannico The Independent, anche il più ricco, con una fortuna stimata di 23 miliardi di euro. Ma questa potrebbe essere una sottostima. Secondo il libro King Bhumibol Adulyadej: A Life’s Work, pubblicato pochi giorni orsono, la famiglia reale possiede terreni che nella sola Bangkok ammontano a 8.400 ettari, per un valore di 30 miliardi di euro.

Il Crown Property Bureau (CPN), l’agenzia che gestisce una parte delle proprietà della Corona, è uno dei maggiori investitori nel Paese, con un patrimonio di 5 miliardi di euro. La CPN possiede e affitta circa 40.000 immobili, tra cui uffici del governo e di aziende private, alberghi, condomini, mercati e centri commerciali.

Stando alla versione ufficiale, re Bhumibol è anche immensamente saggio, dotato e amato dal suo popolo. E’ anche vero però che chi non lo ama rischia grosso, come dimostra la recente condanna del 61enne Amphol Tanngopakul a 20 anni di galera con l’accusa di aver inviato 4 SMS ingiuriosi nei riguardi della regina.

Il caso Amphol non è diverso da molti altri,” ha scritto il prof. Pavin Chachavalpongpun della National University of Singapore in un articolo apparso il 7 dicembre sul quotidiano The Nation. “Le principali ragioni dietro all’uso della legge sulla Lesa Maestà,” prosegue Pavin, “vanno dal sostenere i miti che circondano la monarchia; proteggere l’istituzione; soffocare l’ansia per la successione al trono; controllare la società; prolungare il ruolo dei militari nella vita politica (come protettori della sicurezza nazionale); e far fronte alla rivoluzione tecnologica di internet.

In seguito alla condanna di Amphol Tanngopakul, Amnesty International ha accusato il governo di sopprimere la libertà di espressione: “La Thailandia ha tutto il diritto di avere una legge sulla lesa maestà ma la forma e l’utilizzo corrente contravvengono gli obblighi legali internazionali”, ha dichiarato alla stampa Benjamin Zawacki, rappresentante di Amnesty a Bangkok. “La repressione della libertà d’espressione rimane all’ordine del giorno in Thailandia,” ha proseguito Zawacki, “Amphol è un prigioniero politico.

La legge thailandese sulla Lesa Maestà è tra le più severe al mondo. Chiunque può andare in questura e accusare una persona, anche straniera, di aver mancato di rispetto a un membro della famiglia reale. La polizia è obbligata ad aprire un fascicolo e la magistratura a far partire un processo.

Gli accusati, 400 persone nel solo 2010, non godono della presunzione d’innocenza, altrimenti prevista per qualunque altro reato. Come risultato, in Thailandia ci sono centinaia di prigionieri politici, mentre diversi giornali, libri, pubblicazioni accademiche e migliaia di siti internet vengono regolarmente censurati.

Secondo la la classifica sulla libertà di stampa stilata annualmente da Reporter Senza Frontiere (RSF), la Thailandia è 153esima, peggio della Cambogia, poco meglio di Cuba e dell’Arabia Saudita. La Thailandia è conosciuta come “il Paese dei sorrisi”, ma di fatto le bocche dei thailandesi non possono aprirsi per molto altro.

“La Thailandia deve ammettere di non essere una vera democrazia,” ha dichiarato Chiranuch Premchaiporn, fondatrice del sito internet Prachathai.com, arrestata l’anno scorso all’aeroporto di Bangkok mentre rientrava da una conferenza sulla libertà di espressione tenutasi in Europa. “Sono molti i temi dei quali non possiamo parlare liberamente.

Incuranti dei giudizi internazionali e dell’opposizione interna, i monarchici considerano il re come il simbolo dell’unità nazionale e sottolineano il suo ruolo primario nello sviluppo economico del paese e nella conservazione dell’ideologia di stato, definita khwampenthai (traducibile come “thailandesità“).

Per queste ragioni essi ritengono che leggi come quella sulla lesa mestà siano necessarie per difendere la monarchia e la nazione, anche se non è chiaro come un anziano ineducato, povero e ammalato di cancro come Amphol possa arrecare danno al monarca, allo stato o alla “thailandesità”.

Dall’altra parte però, i sempre meno silenziosi critici della monarchia, come il prof. Giles Ji Ungpakorn, sottolineano come la Corona abbia sostenuto tutti i regimi antidemocratici che si sono succeduti alla guida del Paese.

Ad ogni modo, secondo Giles – che per le sue opinioni è in esilio in Inghilterra – non è necessariamente il re a dirigere l’esercito come un burattinaio che muove i fili nell’ombra. Al contrario, sono probabilmente i ricchi, gli armati e i privilegiati che utilizzano l’istituzione monarchica per proteggere i loro interessi e perseverare il loro comando sulle classi subalterne, e dunque impedire lo sviluppo di un vero regime democratico. Più realisticamente, si tratta di una relazione di interdipendenza, dove la Monarchia e il complesso militare e capitalista si sostengono a vicenda.

Ne consegue che la Thailandia, nominalmente una monarchia costituzionale, è di fatto un Paese dove le due forze extra-democratiche – Corona ed esercito – mantengono un potere capace di influenzare pesantemente le istituzioni e la volontà popolare, come accaduto cinque anni orsono quando il governo di Thaksin Shinawatra fu cacciato con un colpo di stato militare appoggiato, o comunque prontamente riconosciuto, dalla Casa Reale.

Thaksin, fratello dell’attuale primo ministro Yingluck, era un uomo controverso ma eletto democraticamente dal 60% dei cittadini: nella primavera del 2006 aveva raccolto 16 milioni di voti. Il presente governo, probabilmente per esorcizzare un nuovo intervento militare, sta cercando di mostrarsi più realista del re.

Nonostante ciò, non mancano dei segnali di cambiamento: la crescente polarizzazione socio-politica sta creando uno strato sociale che inizia a vedere nell’alleanza trono-esercito un fattore frenante per il processo di democratizzazione del paese iniziato negli anni Novanta.

Ovviamente il re non può e non viene mai accusato direttamente, ma recentemente molti simpatizzanti delle “camicie rosse” stanno mostrando meno timore nel criticare il vecchio Establishment. Oltretutto, il re è malato e da diversi anni esce raramente dalle sue stanze al sedicesimo piano di uno dei principali ospedali della capitale.

Ovviamente, anche parlare della salute del re è tabù, non è dato sapere quali siano le sue reali condizioni e nessuno sembra avere un’idea chiara delle ripercussioni sul sistema politico in caso di un suo decesso. Il primo in linea di successione è il figlio Vajiralongkorn, seguito dalla seconda figlia del re, la principessa Sirindhorn, da sempre molto attiva in opere di beneficenza, sulla linea del padre. La Thailandia però non ha mai visto una donna salire sul trono.

Stretto tra l’emergenza causata da un’alluvione biblica e una situazione politica a dir poco incerta, il Paese rimane col fiato sospeso, e la gente sembra vedere i disastri naturali di questi mesi come un segno divino che starebbe ad indicare che le classi dirigenti thailandesi non godono più del favore del Cielo.

Alcuni ricordano anche una vecchia profezia secondo la quale la dinastia Chakri avrà solo nove re. Le disgrazie degli ultimi anni sarebbero quindi solo il prologo di una vera tragedia, che nell’ultimo atto metterà in scena il rovesciamento dell’ordine costituito. La fine di un’era. Ma questa e’ solo una leggenda.

Scritto per China-Files: Thailandia: il re del paese dei sorrisi

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
This entry was posted in Asia, Storia, Thailandia, Thailandia Politica and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

3 Responses to Thailandia, il Re del Paese dei Sorrisi

  1. Pingback: Thailandia: contro-rivoluzione contro il Thaksinismo e rischio di guerra civile | Asiablog.it

  2. Pingback: Quanto costa vivere in Thailandia | Asiablog.it

  3. Pingback: Cosa succede a Bangkok e in Thailandia | Asiablog.it

Cosa ne pensi di questo post? Lascia un commento