Palazzo crollato in Bangladesh: oltre 500 morti. E Walt Disney lascia il paese

“Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di plusvalore, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempo che è indispensabile per consumare aria libera e luce solare… Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove è possibile, nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore viene dato il cibo come a un puro e semplice mezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come sego ed olio alle macchine. Riduce il sonno sano che serve a raccogliere, rinnovare, rinfrescare le energie vitali, a tante ore di torpore quante ne rende indispensabili il riavviamento di un organismo assolutamente esaurito.” (Karl Marx, Il capitale, capitolo 10)

BANGKOK (Asiablog) – È salito a 500 il bilancio dei morti della tragedia del 24 aprile, quando il Rana Plaza, un edificio di otto piani che ospitava diverse aziende di abbigliamento, e’ crollato nella periferia di Dacca, la capitale del Bangladesh.

Non c’e’ piu’ nessuna speranza per i dispersi. I parenti sperano solamente di ritrovarne i corpi senza vita. Cercano di riconoscere i propri cari tra i cadaveri ammassati dai soccorritori. Chi non li trova oggi, ripassera’ domani, perche’ dalle macerie si continuano ad estrarre i morti. “Dalla scorsa notte abbiamo recuperato oltre 40 corpi – racconta un soccorritore – il numero dellle vittime è in costante aumento”.

La tragedia e’ solo l’ultima in ordine cronologico di una lunga guerra di classe dei padroni contro gli operai. Sempre nello stesso sobborgo di Dacca, nell’aprile 2005 è crollata una fabbrica di indumenti, uccidendo 75 lavoratori. Nel febbraio 2006 è crollata un’altra fabbrica, uccidendone 18. Nel giugno 2010, un ennesimo edificio è crollato a Dacca, uccidendone 25. Lo scorso novembre altri 112 operai erano rimasti vittime di un incendio scoppiato in uno stabilimento della stessa città. La serie di disastri evidenzia le terribili condizioni di lavoro in cui migliaia di operai sono costretti a lavorare e morire, spesso per un salario da fame, senza assicurazione e senza diritti.

La classe operaia locale e’ indignata e chiede giustizia, diritti e punizioni severissime per i responsabili. Per ora sono nove le persone arrestate a seguito del disastro. L’ultimo è l’ingegnere che avverti’ del rischio di un crollo, responsabile dei lavori per l’ampliamento della fabbrica. I corresponsabili internazionali, vale a dire le multinazionali che ordinavano i prodotti delle ‘aziende trappola’, non passeranno alcun guaio ma stanno ugualmente correndo ai ripari per evitare che la tragedia bengalese corroda la loro brand image. La Walt Disney Company e’ stata la prima ad annunciare che lascerà il Bangladesh. La decisione del gruppo, scrive il New York Times, sarebbe maturata già prima del crollo del Rana Plaza.

Il caso della Disney, la più grande azienda del mondo nel campo dei media e dello spettacolo, rispecchia il dilemma di molte aziende multinazionali costrette a mettere sul piatto della bilancia i profitti da una parte, la reputazione dall’altra. Oltre alla Disney, altre aziende hanno annunciato provvedimenti. La Walmart e la Gap hanno dichiarato di aver già avviato iniziative per garantire migliori condizioni di sicurezza agli operai. I sindacati e le organizzazioni di tutela dei lavoratori premono pero’ per azioni più incisive. “Le aziende si sentono ora sotto una forte pressione — ha detto Scott Nova, direttore dell’organizzazione Worker Rights Consortium, con sede a Washington — i marchi di abbigliamento e i venditori rischiano molto a livello di reputazione quando vengono associati a condizioni di lavoro illegali e pericolose in Bangladesh“.

Paradosslamente, ora in Bangladesh si teme che altri grandi marchi mettano fine alle loro produzioni tessili nel poverissimo paese asiatico, un settore che offre lavoro a 14 milioni di famiglie. Da questo punto di vista, sarebbe forse meglio che aziende del peso, della fama e dal potere mediatico della Walt Disney, piuttosto che battere goffamente in ritirata, cerchino invece di favorire le forze che dall’interno del Bangladesh chiedono semplicemente quei diritti e quelle garanzie minime di sicurezza che i lavoratori nordamericani ed europei hanno conquistato tanti anni fa. Abbandonare il tavolo dove si e’ mangiato per lunghi anni, e dopo aver contribuito a rompere le uova, e’ forse una buona mossa mediatica per le grandi ditte transnazionali, ma potrebbe avere conseguenze deleterie su un paese dalle condizioni economiche infime, con la metà dei cittadini che vive sotto la soglia della povertà e un tasso di malnutrizione che arriva al 48%.

Si capisce dunque come la questione sia complessa e la sfida senza frontiere. Oggi più di ieri esiste una classe globale di capitalisti che sfrutta i lavoratori, indipendentemente dai loro passaporti, ovunque le condizioni politiche e socio-economiche lo permettano. I popoli occidentali, ancora ‘protetti’ e ‘benestanti’ rispetto ai bengalesi e altri popoli disgraziati, dovrebbero forse iniziare un serio esame di coscienza riguardo al modello di società da loro costruito ed ‘esportato’. Il punto pare essere il seguente: fino a quando sarà possibile un’economia basata sul consumismo ad ogni costo ?  Fino a quando oggetti spesso inutili, come un giocattolo di plastica della Disney o una polo della Gap, potranno continuare ad essere prodotti sfruttando e uccidendo esseri umani e distruggendo l’ambiente? Fino a quando tragedie come quella che ha seppellito cinquecento (per ora) operai e soprattutto operaie a Dacca saranno tutto sommato digerite passivamente dall’opinione pubblica mondiale? Fino a quando, sostanzialmente, continueremo a fregarcene beatamente dei costi sociali ed ecologici dei nostri comportamenti, rendendoci così corresponsabili di questi crimini?

Bangladesh operaia nelle macerie

Operaia giace tra le macerie. (Munir uz Zaman/AFP/Getty Images)

Le immagini della tragedia sul Boston Globe.

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
This entry was posted in Asia, Bangladesh, Guerra e Terrorismo and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Cosa ne pensi di questo post? Lascia un commento