Cina, 5 strade per la Democrazia

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2 giugno 1989, centinaia di migliaia di cittadini cinesi radunati in Piazza Tienanmen per chiedere democrazia. Foto Catherine Henriette/AFP

Pubblichiamo un articolo di Simone Pieranni, scritto per China-Files il 5 marzo 2013.

La dittatura del proletariato volge al termine. Sarà un processo più o meno rapido e più o meno doloroso a seconda delle scelte politiche che verranno attuate. Secondo il commentatore politico Minxin Pei la Cina è di fronte a cinque possibilità che vanno dalla transizione pacifica alla rivoluzione. La sua analisi.

DI SIMONE PIERANNI (@simopieranni)

Minxin Pei è un esperto di “governance” cinese e di relazioni tra Cina e Stati Uniti, nonché professore al Claremont McKenna College e senior fellow al German Marshall Fund in Usa. Scrive su molte e importanti riviste mondiali e qualche giorno fa sul The Diplomat ha esposto “cinque modalità” attraverso le quali la Cina potrebbe diventare, nei prossimi 15 anni, una democrazia a tutti gli effetti. Il suo articolo sta suscitando grande attenzione internazionale in ambito accademico e politico, perché arriva proprio nel momento in cui la Cina ha effettuato il suo cambio di leadership e aspira a riforme e cambiamenti che potrebbero determinare una svolta storica nella sua millenaria vita. Come, i modi, le conseguenze, sono tutti da decifrare e Minxin Pei indica cinque possibilità da grande conoscitore della Cina, dei totalitarismi e della scienza politica. Innanzitutto, secondo Minxin Pei, ci sono due motivi generali che negli ultimi quarant’anni hanno portato alla caduta di varie forme di regime totalitario (il professore fa gli esempi di Russia, ma anche Messico e Taiwan, specificando che la durata media di un regime è di 74 anni: in Cina il Partito Comunista è al potere da poco più di 60). Il primo motivo è il progressivo decadimento della logica autoritaria, depotenziata dalla debolezza di una classe dirigente che fatalmente invecchia, liberando il campo a carrieristi non ideologizzati, il cui contributo sarà solo e soltanto quello di accelerare il processo di morte per corruzione e male affare. Il secondo motivo sarebbe quello relativo ai cambiamenti socio economici – urbanizzazione, crescita classe media, opinione pubblica che chiede nuovi standard di vita – che alla lunga portano ad una “naturale”, secondo Minxin Pei, richiesta di democrazia.

PRIMO MODO: HAPPY ENDING – Secondo Minxin Pei questo sarebbe ovviamente il modo migliore per la Cina di arrivare alla democrazia. Osservando casi come il Brasile, il Messico o Taiwan, la soluzione per il Pcc sarebbe quella di allentare il controllo sui media e sulla società civile, favorire un dialogo con le “opposizioni” e governare un processo graduale di riforme fino ad arrivare alle elezioni. Di solito in questi casi le opposizioni vincono il confronto elettorale, rispetto alle vecchie élites, ma se il Pcc fosse in grado di sfruttare al meglio la “finestra di opportunità”, potrebbe utilizzare la presa che ancora ha in settori chiave, per continuare a governare seppure in un ambito democratico.

SECONDO MODO: GORBACEV IN CINA – Sarebbe una variante dell’happy ending: il Pcc non sfrutterebbe le opportunità di riformare ora, adesso, il sistema, vedendosi costretto a farlo sotto i colpi di un sistema che non regge più e che lo costringerà ad agire di conseguenza. In questo caso Minxin Pei prevede la nascita di fenomeni stile “Gorbacev”, personaggi politici nuovi, capaci di lanciare una sorta di perestrojka e glasnost con caratteristiche cinesi, con tutto quanto ne consegue, compreso il rischio di vedere dopo Gorbacev, nascere le stelle più radicali come fu Eltsin per la Russia.

TERZO MODO: TIENANMEN REDUX – Questa modalità diventerebbe simile a quella del 1989, se il Partito non risultasse in grado di governare né il primo né il secondo modo, dando così vita ad una richiesta di riforme manifestata attraverso proteste di piazza e rivolte sullo stile delle rivoluzioni arabe. Rispetto al passato della Cina, scrive l’esperto, “Tiananmen Redux” produrrebbe un risultato politico diverso soprattutto perché i militari cinesi si rifiuterebbero di intervenire nuovamente per salvare il partito. Questa ipotesi, stando a quanto si può apprendere circa la fedeltà dell’esercito al Pcc, risulta tuttavia molto dubbia e di quasi impossibile decifrazione.

QUARTO MODO: DISASTRO FINANZIARIO – “Il nostro quarto scenario – scrive Minxin Pei – può avviare una transizione democratica in Cina, allo stesso modo in cui la crisi finanziaria asiatica del 1997-98 ha portato al crollo di Suharto in Indonesia”. Le banche cinesi sembrerebbero avere molte caratteristiche simili alla situazione indonesiana: la politicizzazione, il clientelismo, la corruzione, la cattiva regolamentazione e la gestione del rischio molto debole. E’ “un fatto ben noto oggi che il sistema finanziario cinese ha accumulato enormi sofferenze e che può ritrovarsi in una situazione di insolvenza”.

QUINTO MODO: DISASTRO AMBIENTALE – Infine, il continuo peggioramento delle condizioni di vita, specie quelle legate all’ambiente, potrebbero portare a rivolte decisive per il collasso del sistema. Ovviamente – scrive il professore – i costi economici del collasso ambientale dovranno essere “sostanziali, in termini di assistenza sanitaria, mancanza di produttività, acqua e altri danni”. Del resto, il tema ambientale in Cina ha già iniziato “ad alienare il ceto urbano al regime, scatenando molte delle ultime proteste cui abbiamo assistito in Cina negli ultimi tempi.

Fonte articolo: China-Files.

Fonte immagine: New York Times

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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