Che Europa vogliamo?

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La festa ad Atene. Secondo l’indagine demoscopica della Tv Ant1, il voto per il No sarebbe così suddiviso per fasce d’età: 18-34 anni: 67%, tra i 35 e i 55 anni: 49%. Più di 55 anni: 37%.

Non sono un fisico, ma da qualche parte ho letto che, poco prima che un aereo superi la barriera del suono, sulle sue ali sono visibili onde sonore. Un meccanismo naturale che porta a rivelare forme nuove e opposte proprio quando le forme precedenti arrivano alla loro massima attuazione. Un po’ quello che sta succedendo dopo il referendum greco, che molti continuano a ritenere semplicemente contro l’euro, ma che in realtà rivela soprattutto l’inadeguatezza del modello di sviluppo attuale alla realizzazione del Grande Sogno Europeo.

Nonostante non sia nemmeno un economista ho come l’impressione che la forma precedente, ora visibile in tutta la sua inadeguatezza, sia rappresentata dal mix di rapporti di forza che hanno determinato fino a ieri la tenuta dell’Europa a trazione tedesca, sfruttando al massimo il deficit democratico degli stati del sud. Un mix che ha fatto del peso economico e della tenuta dei bilanci pubblici l’unico parametro per valutare l’affidabilità degli stati, senza tenere conto del fatto che paesi come la Grecia non possono essere sottoposti a regole che vanno bene alla Germania, semplicemente perché l’economia greca non è l’economia tedesca. Oggi, grazie anche al coraggio di un leader senza cravatta, possiamo immaginare l’Europa come un aereo in procinto di superare la velocità del suono, e tutti siamo nelle condizioni di vedere ad occhio nudo il modello di sviluppo che gradualmente stiamo superando.

Se infatti l’economia greca poggia su turismo e piccola e media impresa (PMI), la seconda regge grazie al comparto industriale composto in larga parte da imprese di dimensioni medie e grandi. In mezzo c’è l’Italia, la cui economia è diversa a seconda che la si guardi da nord o da sud. Ad un nord sufficientemente  industrializzato ma ancorato alla piccola-media impresa  a conduzione familiare si contrappone un sud votato in larga parte al turismo, in cui il modello economico dovrebbe guardare alla tutela del territorio ed alla sostenibilità delle scelte politiche nel medio-lungo periodo. Va da se che l’attuale modello di sviluppo europeo che impone regole uguali per tutti è poco efficiente se applicato a realtà economiche come quella italiana, greca, spagnola o comunque ad economie che fanno delle PMI il motore dello sviluppo dei territori. Politica locale e scelte europee sono profondamente legate tra loro, richiedono una profonda consapevolezza e senso di responsabilità da parte dei cittadini che devono iniziare a scegliere accuratamente la classe dirigente tenendo presente le necessità dei territori che abitano, più che le promesse molte volte inattuabili che i politici nostrani proclamano a reti unificate.

Per quanto riguarda noi italiani, che ci piaccia o no, il 61% di greci che hanno votato No ci mette davanti alla responsabilità di cittadini che votano poco e male. Poco perché sottovalutiamo l’importanza delle consultazioni elettorali, tenute sempre in concomitanza di un lungo ponte festivo, quasi a suggerirci la cosa “giusta” da fare. Male perché ancora non abbiamo imparato a riconoscere le vere intenzioni di quanti si propongono a governarci. A livello locale e regionale andiamo facilmente in palla davanti alla candidatura di un parente o di un amico, ci sentiamo spiazzati davanti all’infinito numero di liste che si propongono come alternativa l’una all’altra, perdendo la percezione del reale valore del nostro voto e l’importanza di un progetto credibile e condiviso. A livello nazionale a confonderci sono piccoli contentini da 80 euro, contornati dalla finta sicurezza del metodo democristiano del “male minore”, ereditato politicamente dalla classe dirigente di stampo renziano al fine di occupare le poltrone che contano, senza avere una chiara linea politica da seguire se non quella che gli viene suggerita dall’eco del sogno europeo. In ambedue i casi ci sentiamo spaesati sapendo che in fondo poco o nulla possiamo se continuiamo ad essere divisi in tante piccole particelle elettorali.

Diciamocelo chiaramente, dobbiamo lavorare sodo per scrollarci di dosso l’indifferenza autolesionista nei confronti della politica, abituandoci pian piano a valutare e, quando serve, criticare duramente l’operato della classe dirigente. Per anni abbiamo creduto che facendo i “compiti a casa” la storia sarebbe cambiata, ma l’unica cosa certa è che facendo le riforme imposte dalla Troika abbiamo potuto ricevere prestiti per pagare altri precedenti prestiti e, solo continuando a fare i bravi, avremo ancora altri prestiti da lasciare in eredità ai nostri figli, di modo che anche loro possano contrarne altri per il “bene” dei loro figli, i nostri nipoti. Tanto quello che conta è pagare gli interessi che, se siamo sufficientemente piegati al volere dei mercati, resteranno bassi. Altrimenti, se usciremo dal solco che i nostri creditori hanno segnato per noi, lo spread ci ricorderà quanto lavorare e produrre è importante, per pagare gli interessi.

In Grecia hanno votato soprattutto i giovani, consapevoli di questo meccanismo perverso quando non palesemente fraudolento.  I giovani che campano con le pensioni dei genitori o che hanno stipendi non sufficienti ad arrivare alla fine del mese, che siano statali o privati poco importa, hanno fatto la differenza. Il fatto che oltre alla partecipazione quotidiana alla vita politica sia stata messa in campo una buona dose di consapevolezza della situazione reale è un dato di fatto difficilmente contestabile e facilmente deducibile dai dati sull’affluenza alle urne. Ai giovani greci va dato il merito di aver preso il controllo di quell’aereo che sta superando la velocità del suono, ora non dobbiamo fare altro che smetterla di far finta di non vedere che un sistema si sta esaurendo ed un altro non aspetta che noi e la nostra consapevolezza per prendere definitivamente il via.

Fonte immagine: La Stampa

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