Il nostro strabismo sull’islam

stra(ara)bismo

Un uomo prega in una moschea. Foto Fatto Quotidiano, 28/12/2015

Generalizzazioni e banalità: come la stampa italiana non ci fa capire l’Islam 

Di Guido Rampoldi, il Fatto Quotidiano, 28/12/2015

Due giornalisti del Corriere della Sera parlano di Isis e di islam ad una scolaresca milanese.

Una quarantina di studenti musulmani contesta la loro relazione, in particolare una ragazzina con il velo sulla testa, Amina: su questioni che attengono alla mia fede, dice in sostanza, l’unica fonte che riconosco sono il Corano e il suo interprete, la moschea di al-Azhar al Cairo. Seguono applausi e urla solidali di alunni musulmani; tacciono gli altri.

Per sedare il tumulto e indurre una reazione nei silenti i due giornalisti ricordano alla platea che siamo la civiltà dell’illuminismo, del pensiero laico, di Voltaire, di Rousseau.

Fiato sprecato. Il giorno dopo il sito del Corriere pubblica un resoconto sconfortato che eleva questo fatterello alla dignità di un apologo sulle identità: la ‘loro’ e la ‘nostra ’. Combattiva e aliena l’identità islamica di Amina, debole e rinunciataria l’identità del ‘noi’ rappresentato dai ‘nostri ragazzi’.

Noi, loro e gli altri

Si interpellano i lettori, le grandi firme ci illuminano di pensiero moderato. Risulta inequivocabilmente che siamo infiacchiti dal relativismo, dai complessi di colpa, dal politically correct; minacciati dall’assalto dell’identità islamica, scappiamo a gambe levate in uno shopping center. E sarà senz’altro vero che ci affligge una catastrofica perdita di senso ma la vicenda trattata dal Corriere potrebbe condurre ad un diverso dubbio: non sarà che il problema sia il nostro giornalismo?

Qui non stiamo discutendo di rutti della stampa leghista o di schiamazzi da talk-show. Il Corriere è il giornale più rappresentativo della nostra classe dirigente, ha un sito ottimo, esprime un pensiero a banda larga in cui trovano ispirazione i due terzi del parlamento.

Sull’islam e sulle “questioni identitarie” lascia pigolare gli orfani della Fallaci ma quando occorre un editoriale serio si affida ad Ernesto Galli della Loggia e ad Antonio Polito, tra i pochi in grado di dare dignità intellettuale a un metodo applicato da quasi tutta la nostra informazione.

Quel metodo da noi non ha un nome preciso, come certe malattie non ancora scoperte. Un seguace del filosofo liberale Karl Popper lo chiamerebbe (con una certa ostilità) collettivismo metodologico, altri oggettivismo; ma poiché all’estero in genere è noto come essentialism, lo chiameremo essenzialismo (malgrado da noi il termine abbia un significato più generale).

Per capire come funzioni nel concreto occorre tornare ai pezzi pubblicati dal Corriere.

Le storie sono secondarie rispetto all’essenza

Scopriamo innanzitutto che per un essenzialista è irrilevante chi sia Amina, la ragazzina citata dal Corriere. E infatti i giornalisti che ne raccontano non mostrano alcun desiderio di conoscere da dove provengano lei e suoi compagni, a quale islam siano stati istruiti, quali esperienze li abbiano formati, perché reagiscano a quel modo.

La loro storia e la storia in generale risultano secondarie rispetto all’essenza che quei giovanissimi musulmani incarnano: e questa essenza è la “cultura islamica” (o la “civiltà islamica”, termine equivalente), cioè il nucleo immutabile di valori e di comportamenti che sarebbero comuni a 1.600 milioni di musulmani.

Ne consegue che se Amina è impermeabile al dubbio, lo saranno tutti i giovani musulmani. “A chi cresce in una famiglia islamica – commenta sul Corriere Polito – viene insegnato che la verità è una ed è rivelata, una volta per sempre nel Corano. Al bisogno di senso della vita rispondono con un Assoluto, qualcosa che mal si concilia con un dibattito in classe”.

A conferma non è necessario citare un sondaggio, e neppure provare che i genitori di Amina le hanno insegnato proprio quello: è sufficiente conoscere l’essenza.

Qui potremmo obiettare che i musulmani non sono tutti uguali, non lo sono tutti gli islam e probabilmente non lo sono neppure Amina e i suoi compagni: ma un essenzialista non abbocca.

Se siete musulmano, vi farà notare, appartenete comunque a una “civiltà” che è radicalmente diversa dalla nostra. Che poi siate sufi o jiadista, salafita o alevi, progressista o conservatore, praticante o quasi agnostico, questo è affar vostro. In ogni caso l’islam è la vostra essenza, e l’essenza vi orienta a essere in un certo modo, il modo che non è il nostro.

Ecco Galli della Loggia: le differenze irriducibili tra le religioni monoteistiche “producono, com’è ovvio, una fortissima diversità tra di esse nella costruzione della soggettività, del legame sociale, nonché del modo di stare con gli altri e nel mondo”.

Detto brutalmente: se siete musulmano quel che penserete su questioni cruciali quali la guerra, la violenza, i diritti delle donne, la laicità dello Stato, sarà sempre diverso da quel che pensiamo “noi” per effetto della nostra essenza (cristiana, euro-cristiana o giudaico-cristiana, su questo punto gli essenzialisti divergono).

Si guarda al lungo periodo, non ai dettagli

Quali valori formino l’essenza che ci comprime tutti dentro un “noi” che va da Giovanardi a Vendola, dalla Lega ai centri sociali, da Riina a Bergoglio, è questione complicata.

E infatti gli essenzialisti si astengono. Guardano al lungo periodo, mica ai dettagli.

Ma, ecco il punto, appena si volgono indietro la storia si mette di traverso.

Un essenzialista che si fosse affacciato sull’Europa degli Anni Trenta con la convinzione che la nostra è la civiltà dell’Illuminismo, di Rousseau, di Voltaire e di quant’altro i giornalisti del Corriere rileggono prima di incontrare masnade islamiche, sarebbe rimasto di stucco.

I fascismi. Le leggi razziali, e la flemma con la quale le società “cristiane” (ma di sicuro non ancora “giudaico-cristiane”) accolsero l’espulsione degli scolari ebrei. La Santa Crociata indetta contro i repubblicani dalla Chiesa spagnola e l’inarrivabile ferocia con la quale i pii carlisti massacravano massoni, anarchici, sindacalisti.

L’asilo concesso dalla Gran Bretagna a diecimila ebrei in fuga, ma anche l’ostilità di molta stampa inglese all’ingresso di quegli immigrati, che al ragionare essenzialista apparivano come portatori di valori alieni, invasori di un’altra “civiltà”, contaminatori del nostro “stile di vita” (i giornalisti avevano ragione: uno degli invasori, Sigmund Freud, effettivamente sovvertì una delle regole principali di quello stile di vita, non discutere mai di sesso).

Questo e di peggio avrebbe visto un essenzialista, e ne avrebbe concluso che la “civiltà europea” ha tratti inquietanti, non meno inquietanti dei tratti che oggi attribuiamo alla “civiltà islamica”.
Siamo spaventosamente simili?

Prima che possiate concludere che non c’è gran differenza tra “noi” e “loro” l’essenzialista vi farà notare che la storia va misurata in secoli o in millenni, mica in decenni.

Con il fascismo arrivò l’antifascismo, e il primo perì mentre il secondo vinse, seppure con l’aiuto degli americani (che sempre cristiani sono, però); al contrario, la “civiltà islamica” non produce analoghi anticorpi liberali, in quanto la sua essenza non li prevede.

Qui però di nuovo la storia si mette di traverso. A partire dagli Anni Sessanta nel cosiddetto “mondo musulmano” fiorirono audaci movimenti islamici che mettevano in discussione la tradizione e annunciavano la rivoluzionaria Riforma.

In Paesi come il Pakistan conobbero un successo travolgente, dunque il loro spirito libertario non era estraneo all’islam. Però metteva in pericolo gruppi dominanti e regimi autoritari (anche quelli un prodotto della storia, non della religione). E quei regimi liquidarono anche fisicamente i riformatori, per mezzo delle polizie segrete e del fondamentalismo armato, cui un fiume di petrodollari aveva garantito il peso che altrimenti non avrebbe avuto.

Forse non ha senso chiedersi come apparirebbe oggi l’islam se al tempo di Reagan-Thatcher la repressione e il denaro non ne avessero invertito il senso di marcia, dal cambiamento alla reazione. Però non possiamo fare a meno di domandarci se l’essenza dell’essenzialismo non sia la manipolazione della storia.

Belgrado 1987: l’incontro con Milorad Pavic

La prima volta che mi imbattei in un essenzialista fu a Belgrado nel 1987. Milorad Pavic, scrittore rinomato, accademico illustre. Profetico: fu lui a svelarmi l’astuta cospirazione islamica per soggiogare la flaccida Europa, e ben 14 anni prima che la stessa tesi e gli stessi argomenti apparissero sulla prima pagina del Corriere, nell’articolo della Fallaci che fu origine del libro La rabbia e l’orgoglio.

Sotto il patrocinio di Milosevic Pavic e altri bardi dell’Accademia delle Scienze articolarono la tesi del complotto per eurabizzarci nelle belle prose da cui il nazionalismo gran-serbo attinse a piene mani, mentre preparava il massacro dei Musulmani bosniaci (ma questo nel libro della Fallaci non c’è).

Un’eco di quelle teorie giunse anche a Samuel Huntington, autore di The clash of civilizations (1996), probabilmente il libro più influente degli ultimi vent’anni. Divenuto col tempo il testo-guida dell’essenzialismo politico, racconta la storia umana come un prodotto delle “civiltà”, maestose entità formate dalle religioni maggiori.

Questa architettura grandiosa, colta, perfino intrigante, tuttavia poggia su un equivoco. È nascosto nelle note finali, lì dove Huntington rivela di aver tratto ispirazione dalla guerra di Bosnia, che considera il primo, spontaneo scontro tra civiltà.

Basta leggersi le sentenze del tribunale dell’Aia per accorgersi che quella guerra fu montata a Belgrado e a Zagabria e di spontaneo, di “culturale”, ebbe poco.

Malgrado questo vizio d’origine e altri inciampi l’essenzialismo conosce uno straordinario successo, tanto in Europa quanto tra i fondamentalisti islamici, ai quali conferma la centralità della religione e l’ineluttabilità della guerra.

In Italia la gran parte del giornalismo e della politica lo applica ormai in automatico, soprattutto attraverso un linguaggio robotico fatto di formule mai messe in discussione (i nostri valori, la nostra cultura, la nostra civiltà).

Il Corriere, che più di ogni altro quotidiano ha contribuito a questa egemonia, ora prova a lanciare, con Polito e Galli della Loggia, un essenzialismo dal volto umano, orientato al “dialogo tra le civiltà” invece che allo scontro. Sforzo civile condotto con perizia e misura.

Ma sarebbe più utile cercare di risolvere il seguente paradosso.

Da tempo il pensiero che possiamo definire “occidentale” tiene in sospetto le teorie che elevano a soggetto della storia grandiose entità impersonali, si chiamino Razza, Nazione, Classe o Civiltà. Sicché oggi l’essenzialismo sembrerebbe estraneo alla nostra razionalità. Che sia un altro marchingegno inventato dalla maligna cospirazione islamica per fotterci?

 

Tiziano Matteucci
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"Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ’l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui." (Dante Alighieri - Inferno, V). Per il resto non c'e' molto da dire. Pensionato italiano che ora risiede in una cittadina del nord ovest della Thailandia per un assieme di causalità e convenienze ... c'è solo una cosa certa: "faccio cerchi sull'acqua ... per far divertire i sassi" (Premdas)
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