Thailandia, referendum costituzionale: la democrazia Potëmkin del Paese dei Sorrisi

thailandia referendum 7 agosto 2016

Una donna ad una manifestazione di protesta contro il referendum e la dittatura militare a Bangkok, Thailandia. Foto Chaiwat Subprasom/Reuters

Thailandia al voto tra arresti e censura: per l’opposizione democratica comunque vada sarà un insuccesso  

(Asiablog.it) — In Thailandia 50 milioni di cittadini sono chiamati al voto nel referendum di domenica 7 agosto. Devono dire “Sì” o No” alla bozza di Costituzione redatta da una commissione nominata dalla giunta militare che ha preso il potere con il colpo di stato del maggio 2014.

Si tratta, come sostiene un editoriale del Washington Post, di un “referendum Potëmkin”: un plebiscito organizzato dai golpisti per accettare o rifiutare una Costituzione non democratica.

La Costituzione

Dopo aver scritto (nel 2007) e poi stracciato (nel 2014) la Costituzione precedente, i militari thailandesi cercano di riscrivere nuovamente le regole del gioco proponendo quella che, se dovesse vincere il “Sì”, diventerebbe la ventesima Costituzione del Regno della Thailandia.

La giunta militare sostiene che la nuova Costituzione è necessaria per eliminare la corruzione dalla politica e per porre fine ad oltre un decennio di disordini politici che hanno frenato la seconda economia del sudest asiatico.

I principali partiti thailandesi, gli intellettuali ed i gruppi per i diritti umani sostengono che il progetto della giunta è antidemocratico e mira solamente a preservare il potere dei militari.

Gli aspetti più controversi della nuova Carta riguardano gli ampi poteri di controllo sull’esecutivo affidati a magistratura e altri organismi non elettivi schierati con l’establishment monarchico-militare.

La nuova Carta prevede anche la creazione di un Senato di 250 membri nominato dalla giunta con poteri sostanzialmente identici a quelli della Camera Bassa. La volontà dell’elettorato sarebbe dunque costantemente bilanciata, in Parlamento, da quella dei generali.

Per queste ragioni la vittoria del “Sì” significherebbe l’avvio di un processo di trasformazione della Thailandia da dittatura militare a “Democrazia Guidata” (dai militari), con governi civili legittimati da elezioni libere e periodiche ma svuotati di potere sostanziale, che rimarrebbe saldamente nelle mani dell’élite extra-democratica.

“Se passa il referendum, la Thailandia diventerà uno stato autoritario travestito da regime costituzionale”, ha detto Puangthong Pawakapan, professore di relazioni internazionali alla Chulalongkorn University di Bangkok. “I militari e l’élite conservatrice potranno continuare ad interferire nella vita politica vantando [persino] una legittimità costituzionale”.

Al voto in un “clima di paura”

La situazione nel Paese è tesa: il regime ha proibito ai sostenitori del “No” di svolgere la campagna elettorale e almeno 120 attivisti per la democrazia sono stati arrestati ai sensi di una legge che vieta la diffusione di “informazioni false”. Il 21 luglio il regime ha ordinato la chiusura per 30 giorni di Peace TV, il principale canale televisivo di opposizione.

Human Rights Watch (HRW) ha denunciato il “clima di paura” creato dalla giunta militare attraverso la detenzione di dissidenti e l’intensificazione della repressione politica nelle settimane precedenti il referendum.

“La repressione militare è diventata una realtà quotidiana in Thailandia, ha detto Brad Adams, direttore di HRW Asia, “e si è intensificata con l’avvicinarsi del voto del 7 agosto.”

Cosa succede dopo il referendum

L’opposizione democratica spera che la vittoria del “No” possa far deragliare i progetti autoritari della giunta militare, ma paradossalmente il fallimento del referendum potrebbe anche frenare il cammino verso le elezioni, potenzialmente lasciando i golpisti al potere a tempo indeterminato.

Al contrario, se la Costituzione dovesse essere approvata dagli elettori, la giunta dovrebbe concedere nuove elezioni generali entro la fine del 2017.

“Non sono preoccupato”, ha dichiarato il generale golpista e primo ministro Prayuth Chan-Ocha. “Qualunque sia il risultato, saremo comunque in linea con la nostra tabella di marcia”.

Ad ogni modo la tabella di marcia di Prayuth è già cambiata diverse volte, con le elezioni inizialmente previste per il 2015 rinviate più volte.

Indipendentemente dal risultato del referendum, i militari continueranno a detenere il potere almeno fino alle prossime elezioni generali.

A quel punto i militari lasceranno le poltrone del governo ai civili ma, a meno di clamorosi colpi di scena, gli uomini in divisa continueranno a condizionare pesantemente le sorti della Thailandia anche negli anni seguenti.

Fonte immagine: The Guardian 

 

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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