L’Asia e la nuova geografia del terrore

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Domenica 13 maggio nella città indonesiana di Surabaya la famiglia Sopriyanto – padre, madre, due bambini e due bambine – si è vestita di tutto punto per andare a Messa. Non per pregare, però, ma per farsi esplodere in tre diverse chiese cristiane.

(Asiablog.it) — Sono state sufficienti ventiquattro ore per far precipitare l’Indonesia in una stato di allerta e di paura. Subaraya, la seconda città più grande del Paese è stata oggetto di diversi attacchi terroristici che hanno causato, complessivamente, la morte di 13 persone (tra cui gli stessi attentatori) e circa 50 feriti. Domenica 13 maggio madre, padre e quattro figli, di età compresa dagli 9 ai 16 anni, hanno effettuato simultaneamente tre attentati kamikaze in altrettante chiese cristiane, mentre il lunedì successivo un altro nucleo familiare, a bordo di una moto, si è fatto esplodere all’ingresso del Quartier Generale di polizia della stessa città ferendo 4 agenti e 6 civili. Unica sopravvissuta della famiglia una bimba di 8 anni, subito soccorsa e portata in ospedale.

L’Indonesia è stata molte volte al centro di feroci attentati, di cui uno dei più tristemente noti è quello dell’ottobre 2002 nella città di Bali, dove persero la vita 200 persone. Oggi più che mai l’allerta terrorismo si focalizza proprio nell’area asiatica, poiché dopo la perdita del contesto territoriale dello Stato Islamico gli esperti e gli analisti politici ritengono che quella regione del mondo possa diventare un luogo di approdo per i migliaia di foreing fighters che hanno combattuto in Siria ed Iraq. Se, da una parte, gli sforzi congiunti sia militari sia politici della comunità internazionale sono stati in grado di annientare la dimensione territoriale dell’ISIS, dall’altra non sono riusciti a debellarne la sua ideologia. La retorica propagandistica di Daesh è in cerca di nuovi terreni di confronto che superino i confini ed i contesti geografici dell’Europa ed il pericolo di una sua una propagazione nei paesi asiatici è più che concreta.

Il terrorismo è per sua natura fluido, multiforme e delocalizzato, in grado di mettere radici in quelle aree del mondo dove esistono vuoti politici e sociali che rischiano di trovare espressione attraverso una visione violenta e distorta dell’Islam. Il processo è in evoluzione e risulta quanto mai azzardata una previsione dei futuri scenari geopolitici sia europei sia mondiali. Il dato certo è che lo Stato Islamico ha trovato nuova linfa vitale in diversi paesi dell’Asia. In Afghanistan e in Pakistan, dove ha preso il nome di Khorasan, esso si è efficacemente e profondamente inserito nella dialettica esistente tra i talebani pakistani ed afghani rendendosi protagonista di efferati attacchi terroristici soprattutto a Kabul, in Afghanistan, poiché un altro dei punti di forza del nuovo network del terrore è quello di diffondersi e propagarsi proprio in quelle aree geografiche dove esistono, già da molti anni, gruppi di insorgenza locali.

Le Filippine rappresentano un altro emblematico esempio visto che Abubakar Janjalani, ex combattente in Afghanistan contro i sovietici, nonché fondatore del gruppo Abu Sayyaf, giurò negli anni ’90 del scorso secolo fedeltà ad Al-Qaida e lo stesso gruppo si è affiliato allo Stato Islamico nel 2014. In Bangladesh l’estremismo islamico ha fatto la sua comparsa nel 1992 con il gruppo terroristico HuJI-B, affiliato ad Al-Qaida, mentre l’ISIS nel 2013, con il supporto di gruppi locali si è reso responsabile di un significativo aumento del numero degli attentati in tutto il paese. Dal 2014 la propaganda di Daesh si è rapidamente diffusa anche in Indonesia dove ha messo a segno molti gli attentati che hanno provocato decine di morti. Anche gli attacchi kamikaze della scorsa settimana sono stati probabilmente messi a segno da Jamaah Ansharut Daulah (JAD), gruppo affiliato allo Stato Islamico.

I terroristi di ultima generazione, al di là della loro provenienza e dell’appartenenza ai diversi network del terrore, sono figli del nostro tempo ed hanno avuto la capacità di relegare il concetto di confine territoriale come un retaggio desueto e legato al passato. Muovendosi con rapidità da un territorio ad un altro mettono a dura prova le politiche dei paesi occidentali, più ancorate ad un concetto di minaccia convenzionale legata ad uno specifico luogo geografico. La sfida, secondo gli esperti, sarà quella di non venire colti impreparati di fronte alle nuove minacce che si prospettano nell’immediato futuro.

L’Asia rappresenta un fondamentale punto di svolta nella lotta e nella prevenzione al terrorismo a patto però che venga messa in atto un’agenda politica che metta, tra le sue priorità, quella di monitorare il proselitismo jihadista e le sue attività soprattutto al di là dei confini europei per non permettere, alle differenti organizzazioni di matrice islamica, di dare vita a nuove ed imprevedibili geografie del terrore.

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Barbara Gallo
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About Barbara Gallo

Laureata in Sociologia all’Università di Roma "La Sapienza", si occupa dal 2005 di tematiche legate ai diritti umani, ai bambini e donne vittime dei conflitti moderni. Autrice di molti articoli sulla situazione politica e sociale del Pakistan e dell’Afghanistan. Collabora con Archivio disarmo (IRIAD) relativamente all’area del subcontinente asiatico curando la rubrica Finestra sul mondo all'interno del mensile on line dell'IRIAD. Ha collaborato anche con la Fondazione Pangea occupandosi specificamente della situazione delle donne in Afghanistan. Vive e lavora a Roma. Dal 2016 è giornalista pubblicista.
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One Response to L’Asia e la nuova geografia del terrore

  1. estevamweb says:

    Que trabalho magnífico Bárbara…. você é italiana?

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