Ad Atene loro fanno ancora così

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Grecia verso il referendum su misure Ue. Tsipras: «Il mio popolo voti no». Foto EPA

Per un italiano leggere le parole che il premier Alexis Tsipras ha rivolto al popolo greco annunciando il referendum del 5 luglio non deve essere stato facile, soprattutto dopo aver subito (senza fare nemmeno troppa resistenza) i tre governi non eletti (Monti, Letta, Renzi) e le prescrizioni che per loro tramite la Troika ci ha imposto.

Per un cittadino dell’Europa del sud sentir parlare di dignità e democrazia il primo ministro di una nazione che economicamente è messa peggio di tutte potrebbe rappresentare un trauma addirittura peggiore dell’aver subito una sequenza interminabile di riforme incostituzionali ma utili, almeno così hanno raccontato, a rendere i popoli delle nazioni periferiche degni di far parte della grande famiglia europea. Quelle che gli sono state vendute come una cura dolorosa ma necessaria al  rilancio economico altro non sono che il quesito del referendum che Tsipras sottoporrà ai cittadini greci  in quanto lesive della sovranità e la dignità nazionali.

Alexis Tsipras - REUTERS/Francois Lenoir

Il fatto che il premier ellenico abbia fatto più volte ricorso alla dignità nazionale e alla portata storica della decisione da prendere non è un semplice esercizio di stile, ma la dimostrazione che  politica e democrazia vanno a braccetto, indipendentemente dal peso dell’economia dello Stato che rappresenta. Nell’epoca della mercificazione dei diritti e della politica al servizio del potere finanziario Tsipras si comporta da statista come non se ne vedono da più di un ventennio. La decisione di indire un referendum sulle misure proposte dai creditori  ha palesato  l’inconsistenza dei governi dell’Europa meridionale (Italia in testa) che negli ultimi anni si sono  piegati a politiche di austerità senza battere ciglio, relegando di fatto le proprie nazioni al ruolo di eterna periferia da saccheggiare.

In un sol colpo Tsipras ha affossato le balle europee sull’irreversibilità della moneta unica, sull’assoluta necessità delle politiche di austerità attuate in nome di un principio di emergenza e figlie di una crisi finanziaria che poco ha a che fare con il popolo sprecone abituato ad andare in pensione troppo presto, ma che tanto devono all’inefficienza del sistema bancario, braccio armato della finanza speculativa. Con la freddezza tipica del politico navigato il giovane Alexis  ha riportando finalmente al centro del dibattito europeo il principio democratico, gli è bastato pronunciare la parola referendum perché i creditori andassero in tilt, vedendosi di colpo costretti a dichiarazioni che fanno riferimento “alla grande famiglia europea” dalla semplice minaccia di praticare il più elementare esercizio democratico. Non male come risultato politico.

Il fatto che l’Europa sia stata pensata su principi di solidarietà tra popoli mentre in realtà viene tenuta insieme da regole che somigliano più ad un contratto per il finanziamento dell’acquisto dell’auto che non ci possiamo permettere è verità ormai sotto gli occhi di tutti. La contrattualizzazione della fiducia tra Stati è il piano culturale sul quale poggia l’attuale costruzione europea e la moneta unica. La Troika gioca da sempre una partita doppia con la politica dei vari Stati europei, soldi in cambio di riforme che riducano il divario socio economico tra le  nazioni del Sud a quelle del Nord. Va da se che l’unica Europa possibile sia un abito cucito su misura sulle esigenze economiche, sociali e culturali dei virtuosi esportatori del nord, mai disposti a prendere in seria considerazione le diversità culturali, sociali ed economiche della totalità dei paesi che compongono il vecchio continente.

L’Italia, al pari di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda fa parte della periferia sud dell’Eurozona e come tale  ha poco da guadagnare dal protrarsi di politiche mercantilistiche che sviliscono lo stato sociale e il mondo del lavoro. In questi giorni si è arrivati a minare l’istruzione delle generazioni future con una riforma della scuola talmente cinica da  rendere la libertà di insegnamento del singolo docente una merce la cui adeguatezza deve essere sottoposta al vaglio del preside padrone di turno. I greci, molto probabilmente, non arriveranno mai a subire simili umiliazioni sociali.

La crisi greca e le parole di Tsipras suonano per il nostro paese e per i P.I.I.G.S. come un vero e proprio campanello d’allarme, una sveglia che abbiamo silenziato più volte in passato e che dopo le condivisibili richieste di democrazia greche si fa sentire più forte di prima. In Italia la democrazia è stata sospesa. Gli ultimi tre governi non hanno avuto alcun mandato popolare, non vi è traccia di un programma condiviso e si continua ad operare in palese contraddizione con i principi costituzionali. La maggioranza in parlamento non rispecchia per nulla la coalizione che ha vinto le elezioni nel 2013, la nostra sinistra radicale dopo aver regalato il premio di maggioranza al governo fa acqua da tutte le parti, al massimo è stata in grado di organizzare una gita fuoriporta con striscioni e bandiere inneggianti una ridicola “brigata kalimera” dopo aver scopiazzato male, per anni, la sinistra spagnola. Di un dibattito nel merito su euro ed Europa nemmeno l’ombra.

L’euro, come da tempo scrivono gli economisti di mezzo mondo, è una costruzione umana che ha il compito di semplificare la vita e i rapporti economici dei popoli che lo adottano, ma non è un obbligo servirsene a tutti i costi. L’adozione di una moneta unica rappresenta la diretta conseguenza del percorso comune nel quale le nazioni concorrenti si devono riconoscere. In sostanza è l’ultimo passo da compiere dopo aver lavorato insieme per una leale convergenza dei diversi sistemi culturali, sociali, economici e politici in modo da muoversi e pensare da struttura unitaria in grado di compensare eventuali squilibri macroeconomici. Le dinamiche di questi anni hanno dimostrato come il percorso sia stato completamente rovesciato, l’euro è stato utilizzato come mezzo col quale costruire l’Europa lasciando ai margini del dibattito pubblico la necessità di costruire una visione ed un percorso comune.  I cittadini degli stati membri sono stati messi davanti al fatto compiuto con la convinzione che alla fine, stretti dalle morse del debito pubblico e di una crisi nient’affatto che casuale, avrebbero accettato l’austerità dei bilanci pubblici pur di non smettere di sognare un’Europa in realtà mai nata.

La cornice nella quale inserire il rovesciamento delle più elementari regole economiche è stata curata nei minimi particolari, raccontando la menzogna del debito pubblico causato dagli sprechi delle passate generazioni, troppo permissive in ordine a stato sociale e diritti dei lavoratori. In realtà la causa principale dell’aumento del debito pubblico ha origini ben più profonde, basta rileggere la storia economica d’Italia e dell’Eurozona alla luce della scelta compiuta, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, di convergere verso la moneta unica per capire quanto la realtà sia stata ancora una volta capovolta. Il primo passo è stato senza dubbio il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, seguito dall’ingresso nello Sme e dalla crisi del 1992,  per arrivare all’adozione dell’Euro come moneta unica continentale.

Il debito pubblico ha iniziato la sua corsa verso l’alto il giorno dopo il divorzio, subendo un’ulteriore impennata in seguito al salvataggio del sistema bancario dopo la crisi del 2007. Salvataggi o, per meglio dire, socializzazione del debito. Debito pubblico trasformato in debito privato e spalmato sui bilanci dei paesi dell’arco atlantico, seguito da un’operazione mediatica finalizzata a colpevolizzare i cittadini di nazioni che sopravvivono grazie al fatto che buona parte della loro economia è viziata da corruzione e mercato nero. Una condizione strutturale dell’economia reale che tardiamo a risanare e che viene sfruttata cinicamente da sistema finanziario e organismi internazionali, utile alla causa europea dell’austerità che si sposa perfettamente con la necessità di imporre un regime emergenziale in aree come il sud Europa. Tutto questo Renzi, Merkel, Junker e compagnia al seguito  lo sanno bene. Non si tratta di teorie del complotto, ma di uno stato dei fatti ampiamente conosciuto e dibattuto nel mondo fuori dai salotti da talk show.

Lo sa bene anche Tsipras, che dicendo semplicemente la verità al popolo greco traccia una linea politica innovativa e dal forte carattere rivoluzionario, in grado di avvicinare idealmente giovani formazioni politiche come Podemos in Spagna e Movimento 5 Stelle in Italia. Movimenti che hanno bisogno di crescere accompagnati da una consapevole spinta popolare. Naturalmente non è detto che il referendum farà prevalere i no alle richieste di FMI, BCE, Commissione Europea e creditori vari, ma di certo quelle parole rappresentano una presa di posizione ed una consapevolezza dei fatti con la quale tanti appassionati sostenitori del “bisogno di un cambio di rotta responsabile” dovranno, gioco forza, fare i conti.

Fonte immagine: The Telegraph

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