“Quel giorno sulla folla pacifica di contadini che con le famiglie celebravano la Festa dei lavoratori, si abbatte una selva micidiale di colpi di mitra, seminando il terrore. Sul terreno restano dodici morti e ventisette feriti. Dalle indagini risulterà che la strage era stata eseguita dalla banda di Salvatore Giuliano su mandato politico” (Il ritorno del principe – S.Lodato/R.Scarpinato – Ed. Chiarelettere)
La Storia aiuta molte volte a decodificare certi accadimenti del presente o passato prossimo. Se poi, come accade, chi scrive la Storia commette leggerezze, errori o peggio la modifica in base al “sentimento del momento”, le cose cambiano.
Non ho memoria della strage di Portella della Ginestra, non ero ancora nato, e non è del Primo Maggio che voglio parlare.
Voglio invece rivangare nella mia memoria per parlare dell’Anniversario della Liberazione, il 25 aprile, e di come giudico “strane” le polemiche che ne complicano la celebrazione.
L’Anniversario della liberazione d’Italia (anche chiamato Festa della Liberazione, anniversario della Resistenza o semplicemente 25 aprile) viene festeggiato in Italia il 25 aprile di ogni anno. Esso rappresenta un giorno fondamentale per la storia d’Italia: la fine dell’occupazione da parte della Germania nazista ed il termine del ventennio fascista, avvenuti il 25 aprile 1945, al termine della seconda guerra mondiale in Italia. (Wikipedia)
Le uniche conoscenze di Storia che ho appreso, ai tempi della scuola dell’obbligo, non andavano oltre ad una serie di date ed avvenimenti, definiti “cruciali” e per lo più bellici. Così da Maratona e Canne si arrivava a Curtatone e Montanara ed all’Unità d’Italia. L’anno scolastico volgeva alla fine, la prima guerra mondiale, la Grande Guerra, veniva tratteggiata velocemente ed in modo molto “patriottico” tanto che all’epoca credevo fosse durata tre anni. Il resto vuoto assoluto.
Pensando che fossero passati troppi anni dalla mia esperienza di studio della Storia, speravo che qualcosa fosse cambiato ed invece:
“La politica si è impadronita della storia. Il Novecento? Tutto in 20 pagine. Uno studente finisce di sapere tutto di Bismarck e Cavour e poco di De Gasperi o del nostro sistema di welfare” (Emanuela Scarpellini, docente della Statale di Milano intervista a IlFattoQ – marzo 2013 )
L’esistenza di una Seconda Guerra Mondiale si apprendeva al cinema dai film, per lo più americani, o dai racconti di genitori e parenti che, in diversa misura, ne erano stati testimoni.
E così conosco tante piccole storie di vita di guerra. Lo zio partigiano ferito in un assalto notturno ad una guarnigione tedesca. Il breve sequestro di mia nonna da parte dei tedeschi (aveva lavorato nella Svizzera tedesca a fine/inizio 1900 e parlava il tedesco) per fare da guida/interprete lungo la parte della Linea Gotica che passava nei pressi del paese natale di mia madre. L’elenco degli espedienti di difesa che mio nonno doveva adottare contro i soldati tedeschi ma anche i partigiani al fine che non gli “rubassero” pecore, maiale e cavallo. Il taglio delle chiome delle figlie adolescenti per mimetizzarle agli occhi dei soldati inglesi di etnia sikh. E una mia zia fu la staffetta che avvisò il comando partigiano di città che i soldati inglesi stavano arrivando (dicembre 1944). Molti i racconti di mio padre soldato in Libia e catturato degli inglesi. Il racconto finale riguardava il rientro nel 1945 a Taranto e la sorpresa di ritrovare un’Italia senza fascisti.
Di cosa insegnassero a scuola ho già detto. Dello stesso periodo, ricordo che la ricorrenza del 25 aprile non era dissimile e forse meno partecipata di quella del 4 novembre. Gli ancor giovani partigiani del luogo non erano rappresentati ed io ne conoscevo tanti. C’erano vecchi garibaldini in camicia rossa, uno o due stendardi. L’Anniversario dalla Resistenza in quegli anni mi era ignoto e la scoprii solo molti anni dopo. All’epoca si festeggiava la Liberazione dall’occupazione tedesca e la fine della Seconda Guerra mondiale.
Se guardo con i miei occhi di bambino queste vicende la prospettiva della Repubblica nata dalla Resistenza mi pare quasi un ideale confezionato a posteriori per creare un’immagine storica di una realtà unitaria che non era e non è.
Ma chissà se è tutto vero, questa è null’altro che la mia versione dei fatti. Forse sono solo ricordi d’infanzia e sono passati più di 50 anni. Però se oggi a questi ricordi collego le tensioni sociali del momento, che mai vengono ben raccontate, forse la mia versione dei fatti può apparire più realistica.
Il muso contro muso di quei primi anni tra comunisti e non comunisti, contrapposizione talmente radicata che ancora oggi alcuni personaggi politici ne fanno uso, era all’ordine del giorno.
“In tutta la penisola, dal gennaio 1948 al luglio 1950 verranno uccisi, nel corso di scioperi e dimostrazioni, 62 lavoratori, 3123 saranno feriti” (Il ritorno del principe – S. Lodato/R.Scarpinato – Ed. Chiarelettere)
L’Italia post bellica è anche l’Italia di Portella della Ginestra e della Strage di Reggio Emilia. Riguardo alla strage di Reggio Emilia avrei un aneddoto.
Poco dopo i fatti capitai per caso, un decenne in vacanza dai parenti romani, nella centrale di ascolto radio di una caserma dei servizi segreti dell’epoca. Ricordo apparecchi radio grandi come un frigorifero che potevano intercettare un segnale radio su tutto il territorio nazionale e localizzarlo con un errore di poche decine di metri. Ricordo le facce sorridenti ed i commenti soddisfatti, che solo dopo tanti anni ho compreso, per il buon lavoro compiuto.
L’Italia post bellica era (ed è ) la patria degli italiani. Non solo la patria dei reduci della resistenza ma anche dei reduci della guerra e di tutti coloro che erano espatriati durante il ventennio e di quelli che avevano vissuto in Italia durante il ventennio. Vincitori e vinti. Forse più vinti che vincitori.
Italo Calvino partecipò alla Resistenza, il suo compagno di liceo, Eugenio Scalfari, scriveva su pubblicazioni fasciste. Dario Fo paracadutista nella Repubblica di Salò. Ugo Tognazzi nella Brigata nera Cremona, Raimondo Vianello e Walter Chiari nella X Mas, dove c’era anche Hugo Pratt…
Non è l’elenco dei cattivi. Sono solo alcuni dei personaggi più o meno noti che, dismesse le divise fasciste, hanno partecipato alla ricostruzione dell’Italia repubblicana e post bellica al pari di tanti altri che presero parte alla Resistenza.
Forse dobbiamo cercare di scoprire la nostra Storia al di là ed al di fuori della contrapposizione “fascista” ed “antifascista”. Le parole non si possono vietare, ma lasciamo il termine “fascista” agli antifascisti che, utilizzandolo, dimostrano di non essere pienamente democratici. Smettiamola di utilizzare le parole come armi da taglio, utilizziamole con il loro significato neutro (e non sovraccariche dei nostri luoghi comuni).
Il “fascismo”, il “comunismo” sono idee umane ed è impossibile vietare le idee.
Le idee democratiche possono essere migliorate, anzi: si devono sempre e costantemente migliorare. Le idee antidemocratiche vanno osteggiate con onestà intellettuale ed anche rifiutate con decisione ma non per questo bisogna togliere dignità a chi la pensa in modo diverso, questo lasciamo che lo facciano gli antidemocratici. Poi, per condannare i fatti antidemocratici, esistono la Costituzione e la Giustizia che, al pari dell’idea di Democrazia, vanno difese, migliorate ed insegnate.
Cerchiamo la leggerezza di un confronto tra persone disposte alla comprensione più che alla “reductio ad Hitlerum”. Il panorama dei partiti politici italiani è desolante sotto tanti aspetti ma questo non ci giustifica se non facciamo nulla per creare una democrazia accettabile. Iniziamo noi per primi a porci le giuste domande ed a cercare le risposte anche assieme agli altri ma non solo da altri.
Per fare questo serve sapere cosa vogliamo… e, mi scuso, sono ritornato allo studio della “Democrazia“.
“Gli italiani hanno dimostrato nei secoli una spiccata capacità di inventare sistemi politici e sociali senza precedenti. Anche la trasformazione di una repubblica in una grande corte è un esperimento mai tentato e mai riuscito prima. Rispetto alle corti dei secoli passati, quella che ha messo radici in Italia coinvolge non più poche centinaia, ma milioni di persone e le conseguenze sono le medesime: servilismo, adulazione, identificazione con il signore, preoccupazione ossessiva per le apparenze, arroganza, buffoni e cortigiane. Poiché il sistema di corte ha plasmato il costume diffondendo quasi ovunque la mentalità servile, il rimedio dovrà essere di necessità coerente alla natura del male, vale a dire riscoprire, o imparare, il mestiere di cittadini. Per quanto sia ardua, è la sola via. Il primo passo è capire il valore e la bellezza dei doveri civili.” (La libertà dei servi – Maurizio Viroli – Ed. Laterza)
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