Certe volte è difficile immaginare, per gli analisti occidentali, le mosse politiche dei paesi vicini all’anti-meridiano di Greenwich. E questa difficoltà ha trovato riscontro nel summit, a sorpresa, organizzato a Singapore dai presidenti di Cina e Taiwan di cui nessuno ha osato parlare prima del giorno in cui effettivamente è avvenuto l’incontro.
Lo storico vertice, avvenuto in data 7 novembre, è il primo dal 1945, anno in cui si parlarono per l’ultima volta l’allora presidente cinese Mao Zedong e il primo capo di stato taiwanese Chiang Kai-shek, poi divisi dalla guerra civile che si protrarrà fino al 1949.
L’anno scorso si erano incontrati i ministri per le relazioni internazionali, ma questa volta il presidente Ma Ying-jeou si è esposto ad un faccia a faccia con l’omologo cinese, Xi Jinping, forse perché, essendo alla fine del secondo mandato, non può ricandidarsi e secondo l’opposizione, sta provando a rilanciare, con l’aiuto cinese, la credibilità del proprio partito (Kuomintang), in netto svantaggio negli ultimi sondaggi sulla candidata del Partito Democratico Progressista.
«Il sangue è più denso dell’acqua!», così ha esordito Xi Jinping all’apertura del summit tra i due capi di stato, facendo diventare questa frase lo slogan di tutto l’incontro. Ha poi aggiunto: «Siamo una sola famiglia, nulla ci può dividere.»
Al che Ma Ying-jeou ha risposto: «Entrambe le parti devono rispettare i valori e il modo di vivere dell’altro». Frase certamente di circostanza e che mette in risalto ancora un certo senso di insicurezza da parte taiwanese nei confronti del gigante asiatico.
Insicurezza dettata fondamentalmente da due fattori: la potenza militare cinese e il fatto che da anni ormai Pechino è diventata la locomotiva trainante di tutta l’economia orientale, con possibilità di crescita ed espansione ben oltre quanto ci si sarebbe potuto aspettare.
Il neo-militarismo cinese, spinto dalla sua incessante ricerca di nuove aree da cui ricavare materie prime utili per il fabbisogno interno e per l’export, è alla base di molte tensioni regionali. Il problema sorge quando queste due cose vanno a sbattere con le varie realtà del Mar Giallo, Mar Cinese Occidentale e Mar Cinese Meridionale, sulle cui acque si affacciano popoli e paesi non certo disposti a rinunciare alle loro “zone economiche esclusive”, né tanto meno a limitazioni di sovranità dettate dalle legge del “pesce più grosso”! Lo stesso vale da decenni per la piccola isola che fu rifugio sicuro per i nazionalisti cinesi durante la guerra civile.
Paesi fratelli dunque? Sì, ma resta da stabilire cosa si intende, e per il momento il futuro di Taiwan rimane in bilico tra il modello di Hong Kong e quello di Singapore.
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