Strage a Kabul, il dramma della minoranza hazara

Attentato Kabul Afghanistan

Un ragazzo ferito nell’attacco terroristico del 23 luglio 2016 a Kabul, in Afghanistan. Foto EPA

Kabul, strage durante corteo: kamikaze fa oltre 80 morti. Migliaia di persone di etnia Hazara stavano manifestando pacificamente per chiedere luce elettrica 

“Essere guardato e non soltanto visto, essere ascoltato e non soltanto udito” (Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni)

(Asiablog.it) — Sciiti. Hazara. Una corrente, quella narrata nel famoso libro “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini, odiata e perseguitata da tempo in Afghanistan, privata di ogni diritto, considerata infedele e quindi “non musulmana, da uccidere”, come disse Maulawi Mohammed Hanif, capo dei talebani.

Non solo i talebani, anche i pashtun odiano i discendenti di Gengis Khan (secondo altre fonti sarebbero discendenti dei Kushana, antichi abitanti nella regione afghana nonché costruttori dei Buddha di Bamiyan, distrutti il 12 marzo 2001 dai talebani), coloro che oggi sono una minoranza di lingua persiana concentrata in una regione montuosa dell’Afghanistan centrale, Hazarajat. Fino al secolo scorso costituivano la maggiore etnia in Afghanistan, ma le continue persecuzioni dei gruppi fondamentalisti di origine sunnita hanno forzatamente ridotto una comunità radicata nel territorio.

Come sabato scorso, dove la crudeltà di un attacco kamikaze rivendicato dal sedicente Stato Islamico è costato almeno 80 morti durante un grande corteo a Kabul. La colonna umana si ferma per la preghiera e una merenda in piazza Deh Mazang; da lì non ripartirà più. L’esplosione, il frastuono, il fumo, il sangue, la paura. Tra loro c’erano donne e bambini, ma l’esercito ha comunque ostacolato il loro percorso con dei container per impedire che arrivassero al palazzo presidenziale. Chissà, forse ritenuti troppo pericolosi.

I manifestanti stavano protestando pacificamente contro la costruzione di un’importante linea elettrica ad alta tensione, che stando ai progetti non passerebbe da alcune regioni abitate prevalentemente dagli Hazara. Chiedono di avere la luce elettrica nelle strade e nelle case in cui abitano.

I soccorsi e le ambulanze hanno avuto problemi nel soccorrere i feriti a causa di quei “container-trincea” messi a protezione del palazzo del Presidente Ashraf Ghani. Lo stesso Ashraf Ghani il giorno successivo, domenica 24 luglio, ha proclamato una giornata di lutto nazionale. Le azioni postume restano tali. Il cordoglio, il lutto, la solidarietà sono senza dubbio gesti importanti sia per chi è scomparso sia per chi si è salvato. Sarebbero altrettanto importanti, se non di più, anche quelle che precedono una tragedia come quella di Kabul.

La situazione in Afghanistan è complessa e frammentata da decenni, un territorio in cui si sono succedute guerre combattute da eserciti e gruppi terroristici, ma ciò non vieta alle alte cariche di una Repubblica presidenziale di aprirsi al dialogo anziché barricarsi per “non guardare, non ascoltare”. Invece hanno preferito limitarsi a sconsigliare l’organizzazione di un pacifico corteo ad una minoranza etnica e religiosa perseguitata, oltre che ignorata, perché loro la luce faticano ancora ad averla.

Questa volta contro la minoranza hazara hanno scelto di accanirsi i fondamentalisti legati a Daesh giunti dalla Siria per l’ennesima cruenta strage contro un gruppo sciita. Per continuare ad alimentare quel fiume di sangue di persone innocenti. Vittime della follia di chi ha bisogno di uccidere per crearsi “un’identità”, di chi organizza stragi per scolpire quel nome che fa sempre più male, che fomenta violentemente la crudeltà nei suoi seguaci vicini o lontani, che deve essere fermato ed eliminato da una congiunta azione internazionale tra governi che superi ogni interesse geopolitico nella Regione.

Mario Ramponi

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Fonte immagine: HLN

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Scrivo di Medio Oriente.
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