Ancora scontri e morti in Kashmir: escalation di violenza nel “luogo più pericoloso del mondo”
(Asiablog.it) — Cinque civili morti e 10 feriti. È il bilancio degli incidenti fra manifestanti locali e truppe indiane avvenuti il 14 e 15 agosto nel Kashmir indiano.
Gli ultimi incidenti, che hanno interessato l’area di Beerwah del distretto di Budgam, arrivano dopo più di un mese di proteste scaturite dall’uccisione di Burham Wani, 21enne comandante del gruppo separatista Hizbul Mujaheddin (“Partito dei Mujaheddin” o “Partito dei Combattenti impegnati nel Jihad”), che India, Unione Europea e Stati Uniti considerano un’organizzazione terroristica.
Il giovane leader è stato assassinato l’8 luglio scorso dalla polizia indiana mentre partecipava alla preghiera del venerdì. Al suo funerale hanno partecipato, a seconda delle fonti, tra le 12 mila e le 200 mila persone.
Nonostante il governo indiano abbia imposto il coprifuoco in gran parte del distretti del Kashmir, in 39 giorni di scontri sono state uccise 64 persone, fra cui due agenti di polizia.
Il conflitto del Kashmir
I disordini di queste settimane sono il riacuttizzarsi di un conflitto iniziato dal 1947 con la Partizione dell’India. Da allora questa regione a nordovest del subcontinente indiano è rivendicata da India, Pakistan e Cina.
A destare ulteriore preoccupazione è il fatto che queste tre nazioni nel frattempo sono diventate potenze atomiche, tanto che Bill Clinton arrivò a descrivere il Kashmir come il luogo più pericoloso del mondo.
Oggi la popolazione del Kashmir è composta al 79% da musulmani e al 19% da indù. L’India controlla il 43% del Kashmir, incluso il Jammu (con popolazione al 63% indù) e la valle del Kashmir (al 96% musulmana). Il Pakistan amministra circa il 37% del Kashmir, vale a dire l’Azad Kashmir (al 100% musulmana) e le aree settentrionali conosciute come Gilgit-Baltistan (al 99% musulmana). La Cina occupa le aree scarsamente popolate ma strategicamente importanti del nordest: il distretto di Demchok, la Valle del Shaksgam e l’Aksai Chin.