Gente di Jaipur

Pink City Jaipur Rajasthan India photo

Pink City Palace, Jaipur, Rajasthan, India. Foto Chiara Bergonzini.

Ricordi di incontri bizzarri nella capitale del Rajasthan

(Asiablog.it) — Chi è stato in India sa cosa intendo se dico che l’India è davvero affollata: persone e tuk tuk riempiono le strade con i loro movimenti bruschi e i clacson assordanti, apparentemente senza regole – ma non ho mai assistito ad alcun incidente, quindi forse le regole esistono – e la mia reazione al caos, sonoro e visivo, solitamente era di smarrimento e inquietudine. Certo, è uno spettacolo affascinante, ma non potevo fare a meno di immaginare di essere uno di loro: quanti minuti sarei sopravvissuta in mezzo a quel trambusto? Il problema di tutto questo caos, almeno per me, è che tendevo a dedicare tutti i miei pensieri alla ricerca del miglior modo di sfuggirne, al tentativo di non perdermi tra la folla, e non mi permetteva di vedere i volti e le storie di queste persone: al loro posto, vedevo solo un’unica onda umana che, evitandomi per quanto possibile, continuava il suo moto rimanendo indisturbata dalla mia presenza.

Il mio viaggio si è limitato allo stato del Rajasthan con una piccola tappa finale ad Agra, che si trova invece nell’Uttar Pradesh, per vedere l’immancabile Taj Mahal. Ma la storia che vorrei raccontare non ha niente a che vedere con le tappe del mio tour, o tanto meno con la cultura indiana, che mi affascina e attrae, ma non potrei mai sostenere di averla compresa durante un itinerario di soli venti giorni.

La storia che vorrei raccontare riguarda un guidatore di tuk tuk che mi è capitato di incontrare, per puro caso, in una sera di agosto a Jaipur e che mi ha fatto aprire gli occhi su quanto simili a me fossero, in realtà, tutte le gocce che formavano quell’onda che non riuscivo a capire. Naturalmente una sola esperienza del genere non può bastare per pretendere di capire gli indiani, ma nel mio caso è stata sufficiente per rendermi conto che stavo sbagliando tutto nel mio approccio verso questo paese.

Palazzo dei Venti, Jaipur, Rajasthan, India. Foto Chiara Bergonzini.

Palazzo dei Venti, Jaipur, Rajasthan, India. Foto Chiara Bergonzini.

Jaipur è forse una delle città più famose dell’India, capitale del Rajasthan e meta turistica molto amata grazie ai suoi meravigliosi palazzi. Questa città è stata una delle nostre ultime tappe e ormai avevamo preso l’abitudine di pranzare con poco per poi riservarci una cena abbondante e anche un po’ costosa a fine giornata (ancora sogno le montagne di cheese naan che ordinavamo ogni volta in grande quantità). La prima sera a Jaipur abbiamo mantenuto questa tradizione.

Jaipur era anche una delle città più grandi tra quelle visitate, quindi per la prima volta ci siamo trovati in dovere di spostarci dall’hotel al ristorante in tuk tuk e non a piedi. Come un qualsiasi taxi – ok, forse più traballante di un qualsiasi taxi – il procedimento consisteva nel fermarli, salire, dire il nome del ristorante e passare il tempo del tragitto a guardare fuori. Arrivati, scendevamo, a volte litigavamo perché ci venivano chieste più rupie di quanto concordato in partenza, e infine ci dimenticavano di tutto sedendoci a tavola. Quella sera, però, dopo aver mangiato fin troppo e con la bocca ancora anestetizzata dai piccantissimi piatti indiani, ad aspettarci fuori del ristorante c’era, tra gli altri, il tuk tuk più incredibile di tutta l’India. Con altri due compagni di viaggio, siamo saliti a caso su uno dei vari mezzi allineati in strada pronti a trasportare i turisti che finivano di cenare; non appena salita mi sono resa conto della giovanissima età del guidatore e, soprattutto, del parabrezza decorato con varie scritte riportanti il nome “Macklemore”. Gli ho subito chiesto se fossero riferite al famoso rapper americano, e stupendomi con un inglese che non avevo sentito da nessun altro guidatore di tuk tuk, il ragazzo ha immediatamente iniziato a raccontarmi la sua storia (il tutto continuando a guidare nell’incredibile traffico della città).

Tuk tuk "Macklemore", Jaipur. Foto Chiara Bergonzini.

Tuk tuk “Macklemore”, Jaipur. Foto Chiara Bergonzini.

A quanto pare, Macklemore era stato in India qualche anno prima e aveva comprato il suo vecchio tuk tuk per utilizzarlo in un video musicale. Lui era un suo grande fan e in questa occasione aveva potuto conoscerlo di persona, insieme anche a suo padre. Io, incredula, continuavo a esclamare oh my God e a chiedergli se fosse vero (per la confusione dei miei due compagni di tragitto, che non sapevano chi fosse Macklemore e non capivano il mio entusiasmo). Il ragazzo, senza smettere di guidare e continuando comunque a evitare qualsiasi tamponamento, mi ha mostrato la foto di Macklemore con suo padre e mi ha detto il titolo della canzone e il minuto del video che avrei dovuto cercare su internet per vedere con i miei occhi. Ovviamente non avevo internet sul telefono, ma quando gliel’ho fatto notare mi ha rivelato qualcosa di ancora più sorprendente: sul suo tuk tuk c’era la connessione Wi-Fi!

Sempre più incredula, mi sono subito connessa e ho guardato il video, mentre il ragazzo continuava a guidare con un’espressione di grande orgoglio dipinta in viso. La connessione era addirittura migliore di quella di alcuni hotel in cui avevo pernottato. Mi ha anche dato un link di TripAdvisor perché potessi lasciargli una recensione positiva. Un autista di tuk tuk che ha venduto il suo mezzo precedente a un rapper famosissimo e che ha la pagina di TripAdvisor! Non facevo che chiedermi come fosse possibile che questa situazione stesse capitando proprio a me. L’India ha oltre un miliardo di abitanti e io mi ero imbattuta, del tutto casualmente, proprio in lui. Per rendere il tutto ancora più assurdo, in mezzo a una rotonda davvero gigantesca, con un numero di corsie che non avrei saputo contare, il tuk tuk ha dato segni di cedimento. E adesso? Il giovane autista si è subito fermato e in pochi istanti ci ha trovato un altro mezzo, a cui ha comunicato la nostra destinazione e il prezzo che avevamo concordato. Non ha voluto neanche una rupia per la parte di tragitto che aveva già percorso e, sempre col sorriso, ci ha salutati mentre ci allontanavamo con il suo collega, dopo avermi fatto promettere per l’ennesima volta che gli avrei lasciato una recensione positiva. Ho mantenuto la promessa.

Questo è stato uno di quei momenti in cui la mia mente non poteva che domandarsi come io fossi finita lì. Eppure, mentre ero su quel tuk tuk a ridere incredula della storia di questo ragazzo, mi sentivo serena. Non stavo pensando a quanti tamponamenti abbiamo rischiato di fare, a quante mucche e tori camminavano liberi in strada, semplicemente ascoltavo le sue parole e ridevo di gusto.

Ovviamente non tutti gli autisti di tuk tuk hanno storie così incredibili da raccontare, e sicuramente non tutti hanno voglia di chiacchierare con i fastidiosi turisti, ma per la prima volta mi sono sentita in colpa per non aver mai scavato più a fondo per percepire l’umanità delle varie persone che avevo incrociato. Per me erano venditori di souvenir, addetti di un museo, autisti di tuk tuk, camerieri di ristoranti, ma li sentivo distanti, come separati da me da un vetro. Sapevo che per loro non ero altro che una turista, l’ennesima europea che viene in India e non riesce a concentrarsi sulla gente perché è troppo distratta dal caos circostante. Sapevo che la barriera della lingua fosse spesso insormontabile e mi lasciavo innervosire al primo sguardo diffidente che ricevevo. Grazie a questo piccolo evento ho capito che, invece, potenzialmente avrei potuto trovare punti in comune con tutti loro.

Non voglio fingere che alcuni minuti passati in compagnia di un autista bizzarro mi abbiano fatto comprendere gli indiani o perdere completamente la paura delle mucche a spasso per le strade e del traffico inarrestabile – credo che per questo servirebbero esperienze infinitamente più lunghe e profonde della mia – ma sicuramente ho fatto un passo avanti. Sul momento, poi, ero troppo impegnata a raccontare a tutti questo aneddoto divertentissimo e non mi ero soffermata su cosa avesse significato per me. Ripensandoci a posteriori, non è stata solo un’assurda parentesi del mio viaggio, ma un momento di connessione che non avevo ancora percepito con alcuna persona del luogo. Infatti, pur non ritenendomi una turista superficiale, non posso negare che le barriere linguistiche e culturali incontrate in India siano state una grande sfida per me: non capivo nulla di quello che le persone stessero dicendo, non comprendevo né il loro linguaggio del corpo né i loro comportamenti; spesso mi innervosivo perché, camminando, mi colpivano involontariamente, mentre io ero troppo concentrata sul percorso da fare per non trovarmi faccia a faccia con un toro. Eppure, io ero di troppo, in quel quadro. Io ero l’intrusa, non loro.

In quel breve tragitto sul tuk tuk targato “Macklemore”, sono riuscita a comunicare con il ragazzo alla guida come se fossimo sullo stesso piano: io non ero una turista intrusa, lui non era una persona di cui non avrei mai compreso gesti e parole; eravamo solo due persone con vite incredibilmente diverse, che in quel momento si trovavano a Jaipur e avevano scoperto di avere un interesse in comune.

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Chiara Bergonzini
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