Le macerie del Libano e il Mediterraneo conteso

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Un soldato tra le macerie dell’esplosione, Beirut, Libano.
Foto Thibault Camus / Reuters

Ingerenze internazionali e una popolazione allo stremo: la situazione in Libano, un Paese a sovranità violata al centro di un contesto geopolitico in cui potenze senza scrupoli lottano per l’egemonia nel Mediterraneo

(Asiablog.it) — All’indomani della tragedia in Libano, dove più di duemila tonnellate di nitrato di ammonio hanno raso al suolo mezza città, il Mediterraneo si è trasformato in un lago di opportunismo geopolitico che ha portato in superficie tutti gli interessi che alcune nazioni nutrono nel piccolo Paese mediorientale.

La distruzione del porto di Beirut rappresenta il colpo di grazia per un Paese già fortemente provato da lancinanti crisi di ordine sociale, economico e politico. Per molti libanesi il triste evento ha fornito nuove ragioni per scendere in piazza contro il governo, mentre per diversi governi esteri ha rappresentato l’opportunità ideale per i riequilibrare i rapporti di forza della zona.

Cosa resta del Libano, un Paese a sovranità violata

A un mese e mezzo dal disastro, la condizione del Paese è davvero al limite della sopravvivenza. Secondo alcune stime, a seguito dell’esplosione circa 300mila persone sono rimaste senza casa, mentre i morti sarebbero più di duecento a fronte dei 110 dispersi. Più di 6mila i feriti.

Nel frattempo c’è un serio problema alimentare, perché l’esplosione ha distrutto il porto attraverso cui il Paese riceveva la maggior parte del grano, e numerosi magazzini dove erano conservate le scorte. Le Nazioni Unite hanno annunciato che avrebbero inviato circa 50mila tonnellate di grano in Libano. Quando le scorte arriveranno, però, sarà necessario trovare un posto dove scaricarle e conservarle, poiché Beirut rappresentava il polo portuale più grande e attrezzato del Paese.

Il Libano non navigava in buone acque. Si tratta di una realtà in cui sussistono diversi fattori di tensione, uno domestico e l’altro internazionale. Nel primo caso, la presenza di un’élite non più rappresentativa di alcun orientamento sociale e portatrice di interessi anacronistici è causa di tensioni pericolose e sovversive. La società locale chiede ed esige a gran voce un mutamento generazionale sul piano politico, abbandonando le partizioni confessionali. La corruzione ha impoverito il Paese, creato divisioni sociali e favorito una crisi economica che riporta alla memoria la guerra civile.

Sul piano internazionale, il problema del Libano è dato dalla continua ingerenza di tutti quei Paesi che ritengono di avere il diritto di intervenire nelle questioni locali, sul piano della sicurezza, dell’economia e della politica. Israele e Iran non si fanno problemi a violare continuamente la sovranità libanese, spostandovi le loro tensioni bilaterali. L’Arabia Saudita ritiene di essere garante della comunità sunnita locale, dunque si sente legittimata a ingerire nel dibattito politico nazionale. Gli Stati Uniti perseguono la loro politica anti-iraniana, colpendo il Paese con sanzioni che finiscono per arrecare più danno ai cittadini comuni che alle milizie filo-iraniane.

In tutto questo si collocano altri attori molto ambigui, come l’Unione Europea, che da un lato non vuole scontentare l’alleato statunitense ma dall’altro risulta assai divisa a causa degli interessi coltivati dalle singole entità statuali.

L’interventismo francese e il “sogno turco”

Il primo leader straniero ad aver visitato la capitale libanese all’indomani dell’incidente è stato il Presidente francese Emmanuel Macron. Nonostante gli annunci, la sua non è una visita “europea”. Il capo dell’Eliseo, ha garantito non solo l’impegno di Parigi (e non di Bruxelles) nella ricostruzione del porto ma ha anche aggiunto che il cambiamento politico-sociale tanto agognato dai manifestanti sarà la condizione chiave per ricevere gli aiuti. La visita e le parole di Macron fanno capire quanto sia importante per la Francia continuare a mantenere un legame con il suo ex protettorato, che storicamente rappresenta per i francesi una chiave d’accesso al Medio Oriente. Le relazioni franco-libanesi negli ultimi anni erano state danneggiate dall’avvicinamento del Libano all’Iran. Ma la crisi in cui versa il Paese dei cedri può rallentare questo processo, e la Francia vuole approfittare.

Le ambizioni di Parigi si scontrano con quelle di Ankara, che lavora per portare Beirut nella propria sfera di influenza. Lo dimostano le dichiarazioni del vicepresidente turco Fuat Oktay, che ha condannato le mire “colonialiste” dei francesi. Un’altra stoccata è arrivata dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, che ha accusato Macron di “interferire nella politica interna libanese”. Nonostante l’apparente sdegno dei turchi, il loro intento non è così lontano da quello di Parigi. Gli interessi di Recep Erdogan nei confronti del piccolo Libano sono volti ad espandere l’influenza “ottomana” in tutto il Medio Oriente sulla scia della dottrina neo-conservatrice che caratterizza la politica estera della sua Turchia. Va ricordato che il Libano, prima di diventare un protettorato francese a seguito della Prima Guerra Mondiale, era parte integrante del grande Impero ottomano ed il legame tra Beirut e Ankara è ancora oggi forte, molto forte.

Proprio a coloro i quali sentono ancora questo attaccamento alla “madrepatria” il ministro degli Esteri turco ha promesso il conferimento della cittadinanza. Addirittura Erdogan ha proposto al governo locale di utilizzare il porto turco di Alessandretta fino a quando quello di Beirut non sarà nuovamente operativo.

Il Paese dei cedri è soltanto l’ultimo dei numerosi teatri di scontro tra Francia e Turchia, tra l’Occidente e il “nuovo Oriente” targato Ankara. La potenza che riuscirà a estendere la propria influenza sul Libano avrà un vantaggio non indifferente sugli avversari. Beirut rappresenta una chiave di accesso al Medio Oriente soprattutto per la facilità con cui la si può influenzare politicamente.

Per la Turchia, che mira a diventare l’hub regionale di riferimento nella parte orientale del Mare nostrum, il Libano è una pedina particolarmente importante anche per il suo confine con la Siria, altro teatro bellico in cui Ankara è impegnata al pari della Russia e delle milizie di Hezbollah, che sostengono il presidente siriano Bashar al-Assad.

Una cooperazione vincente

Se la Turchia ha di recente manifestato un forte interesse per l’area mediterranea e la Francia ha deciso di impedirglielo per salvaguardare i propri interessi, c’è un’altra protagonista ben più grande e a tratti minacciosa che potrebbe mischiare le carte in tavola e mettere tutti “sul chi vive”

Si tratta della Cina, la cui strategia di soft power si sta inserendo nel Mediterraneo grazie alla nuova Via della seta marittima che coinvolge il sistema portuale europeo in rapida crescita. Nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping annunciò il faraonico progetto della Belt and Road Initiative (BRI), il cui obiettivo è di migliorare i collegamenti tra l’Asia e l’Europa e l’Africa via terra e via mare, in modo da favorire l’aumento degli interscambi commerciali tra i continenti e al contempo permettendo a Pachino di espandere la propria zona d’influenza. Oltre ai più noti punti di interscambio terrestre, la Cina ha saputo tessere la propria tela diplomatica anche nel trasporto marittimo. Basti pensare all’acquisto di due terminal del porto greco del Pireo, avvenuto nel 2008, con un usufrutto esclusivo per 35 anni.

Un’altra tappa è datata 2015, anno in cui l’amministrazione cinese firma con i Paesi dell’Europa meridionale dei partenariati di cooperazione marittima globale che prevedono, tra l’altro, investimenti nelle infrastrutture portuali dei rispettivi Paesi, oltre che sulle reti di trasporto e nel turismo. A guidare l’assalto ai porti del Mediterraneo sono principalmente le grandi compagnie marittime cinesi: Cosco, CMPort e QPI. Le prime due possono attingere a una linea di credito agevolata, mentre Cosco anche al Silk Road Fund, un fondo di 40 miliardi della Banca cinese di Sviluppo per la realizzazione della Via della seta.

Le compagnie hanno quote rilevanti nei porti del Pireo, Valencia e Bilbao, Marsiglia, Vado Ligure, Casablanca e Tanger Med (Marocco), Ambarli (Turchia), Port Said (Egitto), Cherchell (Algeria), Haifa e Ashdod (Israele). Si tratta di una fitta ragnatela che copre quasi tutto il Mediterraneo e che garantisce alla Cina una presenza significativa in un’area strategica dal punto di vista commerciale.

Anche la Turchia ha deciso di investire quote considerevoli di denaro per aumentare la presenza nel Mediterraneo grazie all’azienda Yilport Holding che si occupa di logistica. L’obiettivo turco è quello di puntare su investimenti logistici per lasciare ad altri (principalmente alla Cina) il settore del commercio. Si tratta di un’intelligente strategia mirante a solidificare il rapporto con Pechino attraverso una cooperazione basata su interessi comuni nell’area mediterranea. A confermare questa impressione è la presenza della Yilport nella Ocean Alliance, gruppo creato dalla Cosco per far fronte ai danni causati dall’emergenza coronavirus.

La compagnia turca Yilport è riuscita a ottenere una concessione di 49 anni, in cambio di 400 milioni di investimenti, per lo sviluppo del San Cataldo Container Terminal di Taranto, in mano per diversi anni alla taiwanese Evergreen. Lo scalo garantisce alla Turchia una posizione strategica di accesso al mar Mediterraneo, poiché il porto si trova sulla rotta tra Gibilterra e Suez, senza considerare il collegamento con il resto dell’Europa.

La cooperazione sino-turca sembrerebbe funzionale agli interessi di Erdogan, ma aprire il Mediterraneo alla Cina, un grande e pericoloso competitor, modificando col, col tempo, gli equilibri geopolitici dell’intero Medio Oriente.

Tra Francia, Cina e Turchia, il Mediterraneo Orientale appare un mare di opportunità all’interno delle quali le singole entità nazionali sguazzano liberamente minando gli interessi reciproci con provocazioni e acquisizioni strategiche. Nel frattempo, negli stati come il Libano, il popolo a gran voce chiede che anche i propri di interessi siano presi in considerazione, sottovalutando la bramosia di potere degli attori della Comunità Internazionale.

 

 

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Donatello D'Andrea
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About Donatello D'Andrea

Studente magistrale di Scienze della Politica presso La Sapienza, si è laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali con una tesi sulla storia dell'idea politica d'Europa. Scrive per diverse testate italiane e internazionali, occupandosi di politica interna, politica internazionale e geopolitica. Non sempre imparziale, ma intellettualmente onesto.
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