Comunicazione politica: Berlusconi grande comunicatore

BERLUSCONI GRANDE COMUNICATORE

di Alessio Fratticcioli (01/06/2004)

Introduzione

Questo studio è stato realizzato partendo dal contributo di Edoardo Novelli al numero della rivista Comunicazione Politica dedicato al decimo anniversario della entrata in politica di Silvio Berlusconi. Il mio lavoro è stato integrato soprattutto dal capitolo di John B. Thompson (1995) dedicato alla problematica della visibilità dei politici, nonché da altro materiale trovato soprattutto in rete (citato nelle note).

Il tema che ho voluto approfondire in queste pagine è quello legato alla storia e alle principali novità introdotte in politica dal movimento fondato dal magnate televisivo Silvio Berlusconi1 nel 1994: Forza Italia. Tale novità si sintetizzano in quelle parole che ormai, dopo dieci anni, sono entrate a pieno titolo nel linguaggio politico di ogni giorno: mercato elettorale, marketing politico, sondaggi, media, visibilità, immagine, comunicazione, personalizzazione.

1. Berlusconi scende in campo e cambia la politica italiana per sempre

La “scesa in campo” di Berlusconi e del suo partito mediale, chiamato Forza Italia, nel 1994, ha funzionato come uno spartiacque nella politica italiana, soprattutto riguardo la conduzione delle campagne elettorali e gli strumenti comunicativi adottati per ottenere consenso. Con Berlusconi è cambiata la comunicazione politica in Italia, ed è cambiata perché sono sono stati utilizzati nuovi strumenti di comunicazione, che a loro volta hanno contribuito a mutare la cultura ed i valori degli elettori.

Il giovane Berlusconi si esibisce come cantante in una nave da crociera

Il giovane Berlusconi si esibisce come cantante in una nave da crociera

Le elezioni del ’94 permisero alla lista personale-aziendale di Berlusconi di affermarsi come primo partito d’Italia. Eppure appena qualche mese prima questa lista non esisteva. Come fu possibile ciò? Come ha potuto un partito solo tra virgolette — fondato da soli due mesi e privo degli strumenti classici dei partiti tradizionali, come le sezioni — raccogliere tanti consensi in così poco tempo, fino ad ottenere quel clamoroso successo? Le ragioni chiaramente sono molte, e molti dei contributi presenti nell’ultimo numero della rivista Comunicazione Politica analizzano anche questo tema.

Nel suo contributo, Edoardo Novelli parte dagli anni Ottanta, quando a suo avviso inizia una sorta di “patto di collaborazione” fra il sistema politico, che inizia ad entrare in crisi, e il sistema televisivo: ”una reciproca mutualità, che aveva garantito alla politica la visibilità necessaria alla propria rappresentazione e sopravvivenza e alle emittenti la protezione e la tutela in una situazione di illegalità cui porrà fine solo la Legge Mammì del 1990” (Novelli, 2004, pag. 144). Va sottolineato come negli anni Ottanta, con i grandi cambiamenti sociali in atto, erano entrati in crisi i tradizionali canali di comunicazione politica basati sulla militanza e sul voto di appartenenza, ed è per questo che la politica ha sempre più bisogno della televisione, che nel frattempo aveva assunto una posizione centrale nella vita degli italiani.

Poi, dal 1989 e soprattutto tra il 1992 e il 1994, il sistema politico italiano è entrato in una fase eccezionale, con la caduta del Muro, Tangentopoli e la stagione stragistica mafgiosa del 1992-1993. Tali avvenimenti portarono, direttamente o indirettamente, allo stravolgimento del panorama partitico italiano, con la scomparsa o il netto ridimensionamento di tutti i partiti di governo e il mutamento di nome (e non solo) del principale partito d’opposizione. Tale cataclisma lasciò la grande maggioranza degli italiani orfani dei partiti che avevano votato per oltre quarant’anni. Questi eventi, insieme all’introduzione di un sistema elettorale di stampo maggioritario (con un referendum dove il Sì stravinse), avevano determinato una situazione del tutto nuova e dagli esiti poco prevedibili. Si apriva quindi una spazio politico enorme, da colmare con un’iniziativa politica senza precedenti. A questo punto, mentre ciascun partito tradizionale continuava (per mentalità, strutture e quadri intermedi) a preparare messaggi elettorali aventi come destinatari quasi esclusivi gli elettori del proprio recinto politico, Berlusconi “scese in campo” (G. Pasquino, 2004).

Quella di Forza Italia fu una comparsa inaspettata e poi un’incredibile ascesa, che dal nulla, nel giro di poche settimane, riuscì a colmare il vuoto politico lasciato dal terremoto di Tangentopoli, conquistando, alla guida di un’alleanza più o meno improvvisata, il governo del Paese.

Col senno del poi appare chiaro che la nascita di Forza Italia, e l’entrata in politica di un personaggio come Berlusconi – conosciuto e popolare ma considerato dai cittadini come del tutto estraneo dalla politica – fu addirittura “anticipata da un fenomeno che per forme, modalità, protagonisti è la prova generale del futuro partito azzurro: la campagna Vietato vietare” nel 1993 (Novelli, 2004, pag. 146). Con la campagna televisiva Vietato Vietare, che riprendeva con scopi meno nobili un famoso slogan sessantottino, per la prima volta una televisione si trasformò in un soggetto politico, con tutti i suoi personaggi, star e vallette (conosciuti amati e sentiti vicini da milioni di telespettatori) arruolati nella campagna contro il recepimento di una legge europea da parte nel nostro parlamento. Dunque contro i politici, i partiti e i burocrati di Strasburgo, rappresentati e quindi visti dai telespettatori come lontani da loro, lontani dalla gente comune (Novelli 2004).

La campagna Vietato Vietare fu la grande prova della forza della televisione nell’orientare politicamente i cittadini-telespettatori-elettori. E’ a questo punto, visti i risulati positivi della campagna, che Berlusconi e un suo ristretto entourage di collaboratori iniziano a lavorare sempre più alacremente al progetto di un “partito-azienda” o un “partito televisivo”. Questo soggetto politico prende vita ufficialmente il 18 gennaio 1994. Pochi giorni dopo c’è l’annuncio al Paese, con una videocassetta registrata e consegnata ai telegiornali: Berlusconi si presenta con un sorriso impostato, la luce vagamente soffusa che crea un’atmosfera flou ottenuta anche grazie alla famosa calza davanti alla telecamera, alle sue spalle una libreria e la foto di famiglia in bella mostra. L’incipit è attentamente studiato: “L’Italia è il paese che amo.”2 Chiaramente era tutto falso. L’ambiente era solamente un set impostato alla perfezione. In realtà Berlusconi e il cameraman Gasparotto si trovavano in uno scantinato di Macherio.

Con il suo discorso Berlusconi si presentò come un impolitico, un “uomo nuovo” contrapposto al vecchio della Prima Repubblica, un “uomo del fare” diverso e opposto ai politici bollati in gruppo come chiacchieroni e ladri: “ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi, ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili.”3 Alla sbandierata differenza antropologica si sommarono le promesse di un “nuovo miracolo italiano”, liberalizzazioni, sburocratizzazione, e altri slogan estremamente popolari all’inizio degli anni Novanta.

Berlusconi entrò in politica forte della sua grande esperienza nel campo della comunicazione, adottando anche per la campagna elettorale (e in generale per la comunicazione politica) gli stessi approcci, metodi e strumenti che il marketing propone per la conquista e il mantenimento dei consumatori. Insomma, nessuna differenza tra il vendere uno spazzolino, una merendina o un progetto politico e un ideale. Berlusconi comprese dunque, primo fra tutti i politici in Italia, l’esistenza del cosiddetto “mercato elettorale” (R. Mannheimer, 2004). E lo conquistò, con metodi mai utilizzati a pieno dai politici e dai partiti italiani fino a quel gennaio del 1994.

Non era una novità che un politico si rivolgesse ai telespettatori-elettori direttamente attraverso il tubo catodico (famoso è lo spot di Bettino Craxi che si fa intervistare vicino alla cassa di un supermercato, trasmesso proprio dalle TV del futuro leader di Forza Italia). La cura dell’immagine per il politico è una classica di consenso, non inizia né con le reti Mediaset né con il cielo azzurro delle manifestazioni di Forza Italia. Al contrario, l’apparenza in politica è sempre stato un dato sostanziale. Dunque le novità introdotte nell’agorà politica da Berlusconi sono state altre, e cioè l’utilizzo di un linguaggio specifico del mezzo televisivo (Berlusconi parla il “gentese”, contrapposto al “politichese” degli altri politici), una fortissima semplificazione degli slogan e delle promesse (“meno tasse per tutti”, “un milione di posti di lavoro” , ecc…) in modo che siano comprensibili ai cittadini di ogni livello culturale, ed infine contenuti comunicativi definiti da studi e analisi scientifiche (Mannheimer, 2004)4. È da questo ultimo punto che deriva il grande uso dei sondaggi fatto dal leader di Forza Italia, che ha compreso prima di tutti che con la de-ideologizzazione delle masse il buon politico è oggi quello che utilizza tecniche di marketing quotidianamente nella concretizzazione della sua azione politica. Il buon politico, oggi, è chi conosce l’elettorato e ne comprende le sue esigenze e istanze, senza più limitarsi a rappresentarlo o a comunicare solo all’avvicinarsi delle scadenze elettorali, o tramite canali oramai desueti (quanti frequentano più le sezioni di partito?). Il buon politico non si limita più a cercare di conoscere l’“umore” dell’elettorato solo attraverso i metodi classici dei partiti di massa (base del partito, sezioni, sindacati, associazioni…), ma utilizza strumenti scientifici di rilevazione, in primis i sondaggi.

Berlusconi comprese questo per primo, partendo dal presupposto che non c’è una grande differenza tra il pubblicizzare in TV un partito o un candidato e il vendere sofficini, frigoriferi o pannolini, come pensa inizialmente il simpatico Simplicius nel contributo di Giacomo Sani alla rivista Comunicazione Politica. Al contrario, se c’è una differenza sostanziale tra la comunicazione politica e la pubblicità è che nelle campagne elettorali si possono dire bugie, in quanto manca una verifica delle promesse fatte, non c’è un Giurì pronto a censurare le dichiarazioni non veritiere, o a multare l’azienda che vende sofficini scaduti.

La lista lanciata da Berlusconi nel 1994 è dunque a buon ragione definibile un partito televisivo, perché (1) ha utilizzato la televisione per riuscire a farsi conoscere e poi votare dai cittadini nel ristretto tempo a disposizione tra la sua nascita e il giorno delle elezioni. Perché (2) buona parte delle trasmissioni, dei giornalisti, dei presentatori e delle soubrette a libro paga dell’imprenditore milanese si schierarono apertamente a suo favore e sostennero il suo nuovo partito. E perché (3) tra gli esponenti più importanti di Forza Italia, almeno in questo primo periodo, c’erano personaggi televisivi, o che comunque dovevano la loro popolarità soprattutto alla televisione, come Vittorio Sgarbi o come i ministri del primo Governo Berlusconi Antonio Guidi o Giuliano Ferrara5.

Questa prima fase di Forza Italia, quella del partito televisivo, può considerarsi conclusa nel 1997, quando attraverso politici di lungo corso come Scajola il Cavaliere inizia a costruire un vero e proprio partito, con lo scopo di cercare di raccogliere l’eredità della DC e del PSI più che continuare a basarsi solo sull’effetto novità, senza però mai rinunciare ai tratti distintivi del partito televisivo azzurro (linguaggio specifico del mezzo televisivo, fortissima semplificazione degli slogan, e i contenuti comunicativi definiti da studi e analisi scientifiche). Dal 1997 quindi FI inizia a dotarsi dell’organizzazione tipica di un vero e proprio partito, con tanto di sezioni, militanti e dirigenti, pur rimanendo un partito leggero e anomalo per via del particolare rapporto con il suo leader, fondatore e padre padrone.

Torniamo però ad analizzare quello che è stata la più grande rivoluzione portata da Berlusconi in politica, e cioè il nuovo utilizzo della comunicazione. Da quando è sceso in politica infatti il leader del centro-destra è indicato dagli esperti di comunicazione come l’unico capace di parlare alla gente, di utilizzare un linguaggio che entrava direttamente nel cervello dei telespettatori-elettori. La sua immagine e le sue parole venivano da questi facilmente memorizzate. I media non potevano fare a meno di confrontarsi con lui e con il suo discorso, con le sue dichiarazioni e le sue uscite spesso fuori luogo, considerate gaffe dai suoi oppositori, prova invece che Silvio è un imprenditore prestato alla politica, che ha fatto miracoli con le sue aziende e che ora sarà protagonista anche del nuovo miracolo italiano, secondo i suoi sostenitori. Anche questo essere comunque e volutamente fuori luogo ha finito per diventare un tratto stilistico dell’immagine pubblica di Berlusconi. Insieme a un altro: il desiderio di piacere alla “gente”, e di piacere comunicando. Le sue scelte semantiche sono sempre orientate a questo obiettivo. Perciò Berlusconi ripudia il linguaggio politico propriamente detto, sospetto all’uomo della strada in quanto specialistico e tecnico, a vantaggio delle parole comuni, del pensiero comune, delle cose comuni. La parola d’ordine è semplificare. Rendere conto della complessità delle questioni in campo è troppo pericoloso per un politico, e Berlusconi lo sa bene. Molto più importante, quindi, è farsi capire da tutti. Schierarsi con il pregiudizio (per definizione largamente condiviso) è infatti chiaramente assai meno rischioso che argomentare un giudizio. Meglio dunque ridurre il più possibile i significati, per amplificare invece al massimo l’emotività. Insomma, meglio vendere sogni che ideare, difendere e costruire progetti politici fattibili.

Il comunicare diventa un fine di per sé, anzi il fine proprio della politica. Non si tratta di rendere pubblica la “vera” azione politica, così da permettere alla cittadinanza partecipazione, controllo, consenso e dissenso nel merito delle questioni pubbliche (uno dei fondamenti delle democrazia rappresentativa). Il consenso, ciò che legittima il potere in democrazia, si fonda sull’opinione. Sulla scena politica, insomma, la verità non gode di alcun vantaggio competitivo, la verità è ciò che l’opinione più diffusa riconosce come tale. Ma l’opinione non può formarsi sulla conoscenza, che richiede troppe parole complicate, troppi ragionamenti e troppo tempo. Perciò ricorrere alla retorica è più utile allo scopo.

Dal punto di vista del contenuto il messaggio berlusconiano è sempre elementare, estremamente generico e banale, mai difficile, in modo che risulti comprensibile alla maggioranza dei cittadini. Gli argomenti degli avversari politici sono sempre liquidati con il medesimo escamotage (a dire la verità di matrice leninista): non vengono discussi nel merito, ma meramente bollati come menzogne. Perché se è così difficile rintracciare la verità nel discorso politico, tanto vale non sprecare tempo e ripetere il messaggio principale: gli altri sbagliano, mentono, sono incapaci e disonesti. E dunque “l’opposizione trasforma la realtà, ribalta la verità, è fatta da professionisti della menzogna, maestri della manipolazione.” E se gli italiani non l’hanno ancora capito, beh, allora sono degli “imbecilli”.

A fare la differenza dunque non è tanto ciò che Berlusconi dice, ma come lo diceCiò che viene riconosciuta e apprezzata è la sua volontà di stabilire una relazione costante con il suo elettorato. E sappiamo bene che la comunicazione può avvenire solo se c’è relazione. Difatti Berlusconi personalizza la relazione, la riscalda. Tutti, avversari compresi, gli riconoscono simpatia e carica umana. È attentissimo a farsi capire e dipingersi come un uomo qualunque, “uno di noi”, fino a spacciarsi per operaio tra gli operai, casalingo tra le casalinghe, socialista tra i socialisti e nostalgico del fascismo tra i neofascisti. È confidenziale e rassicurante nei confronti del “noi”, mentre è altamente conflittuale verso “loro”, gli altri, gli avversari politici, i nemici. I suoi nemici preferiti sono gli “intellettuali clown”, i “magistrati comunisti” e “antropologicamente diversi”, i “giornalisti manipolatori e faziosi”, in quanto “tutti di sinistra”. Dicendo questo Berlusconi non fa che scagliarsi contro elementi che sono percepiti da buona parte dell’opinione pubblica come esponenti di caste arroganti, lontane dalla gente, intoccabili e privilegiate. In altre parole, non perdendo coccasione per questi luoghi comuni, Berlusconi non fa che schierarsi, ancora una volta, col luogo comune.

Va sottolineato ancora una volta che questo cambiamento nella comunicazione politica non fu introdotto nella politica italiana solamente da Berlusconi, ma fu certamente da lui accelerato e sfruttato sapientemente. Negli ultimi anni era infatti cresciuto il bisogno di comunicazione e visibilità da parte del candidato politico, che oggi è costretto ad affidarsi sempre di più alle leve strategiche per mantenere il consenso dell’elettorato e per raggiungere nuovi potenziali elettori. Un’efficace strategia di marketing politico si traduce oggi in azioni volte alla costruzione del consenso attraverso un’attenta strategia di marketing, la costruzione di un’immagine e il consolidamento delle relazioni con il pubblico, o meglio, i diversi pubblici. L’immagine di Berlusconi, le sue parole e le sue promesse venivano dai cittadini facilmente memorizzate: la grande maggioranza degli italiani ha ben stampate in testa le sue promesse elettorali (“pensioni più alte”, “meno tasse per tutti” e così via), ma se si chiedesse alle stesse persone di elencare qualche punto del programma di Rutelli, lo sfidante del Cavaliere proposto dal centro-sinistra alle ultime elezioni politiche, ben pochi ricorderebbero anche una sola promessa, uno slogan o un motto.

Inoltre il leader di Forza Italia è riuscito sempre in questo decennio a egemonizzare e dirigere l’agenda politica del nostro paese, anche “indipendentemente” dai reali problemi o dalle tematiche che più stanno a cuore al cittadino: ne sono una prova evidente l’eterna battaglia con la magistratura, o il costante appello anti-comunista. Si potrebbe discutere se questi siano temi o problemi esistenti o montati di sana pianta, ma probabilmente essi non sono così essenziali per l’effettivo miglioramento della qualità della vita quotidiana dei cittadini italiani. Berlusconi è riuscito ad imporre al popolo italiano le sue personali priorità anche grazie all’aiuto delle sue tre televisioni, che hanno spesso “tirato la volata” al centro-destra, ad esempio dando ampio spazio nei telegiornali e nelle trasmissioni politiche a temi facilmente strumentalizzabili da Berlusconi, come l’immigrazione, le inefficienze della burocrazia e così via. Ad esempio la trasmissione di Mediaset “Vox populi” prima delle ultime elezioni politiche, quando il Cavaliere si trovava all’opposizione, hanno dato uno spazio esagerato ai temi dell’immigrazione (sempre descritto come un fenomeno negativo) e della criminalità, mentre da quando il Cavaliere si è installato al Governo hanno teso a ridimensionare i problemi, come la stessa immigrazione (vedendo i telegiornali oggi non sembra più di vivere in quel clima da “barbari alle porte” che si aveva fino alla primavera del 2001), o come i problemi economici che attanagliano una parte sempre più vasta della popolazione.

Con queste tecniche Berlusconi è sempre riuscito a regalare agli italiani un sogno, l’immagine di un mondo diverso dove tutti potessero crescere sia individualmente che collettivamente, un mondo che coniugava in maniera ideale il benessere economico e la libertà (dall’oppressione statale) – in pratica qualcosa molto simile all’American dream.

Per contro, lo schieramento di centrosinistra è stato spesso percepito dai cittadini come portatore di una visione più realistica e quindi molto meno ottimistica e rosea del futuro: predicava continui sacrifici, prima per l’ingresso nell’euro, poi la lotta all’abusivismo edilizio o all’evasione fiscale. L’entusiasta venditore di sogni, da oppositore, risultava costantemente vincente sul piano della comunicazione; i litigiosi partiti del centro-sinistra sembravano destinati a perdere, se non grazie ai mancanti accordi tra gli avversari, come nel 1996, quando la Lega Nord non partecipò all’alleanza di centro-destra, decretandone la sconfitta.

Almeno fino a quando Berlusconi ha giocato nel suo ruolo preferito, facendo l’oppositore, le promesse del nuovo mondo, del “Nuovo Miracolo Italiano”, funzionavano. Ma oggi il clima politico-elettorale è mutato: il buon rapporto tra Berlusconi e i cittadini si è incrinato dopo pochi mesi del suo governo. Molti fattori possono aver generato questa svolta nella percezione dell’elettorato: il peggioramento dell’economia italiana, la promessa non mantenuta di ridurre la pressione fiscale, i problemi occupazionali legati alla crisi della grande industria e della finanza, il precariato, il potere d’acquisto delle famiglie che è andato diminuendo in modo preoccupante. In sostanza nella percezione di gran parte degli elettori i molti problemi di fondo della società italiana permangono irrisolti, o non sono affrontati con decisione. Inoltre, ciliegina sulla torta avvelenata, vengono promulgate leggi che nell’immaginario collettivo appaiono di dubbia finalità, se non proprio “ad personam”, a solo giovamento del Presidente del Consiglio o di una ristretta cerchia di suoi collaboratori.

Il governo Berlusconi sembra diventare poco alla volta impotente di fronte al crescente disagio degli italiani e dell’opinione pubblica, incapace di evadere le richieste sempre più pressanti. Tutto questo ha pian piano eroso la fiducia di molti italiani nei confronti del Cavaliere, del suo partito e del suo governo. Molti sondaggi provano che il Governo gode ormai dell’apprezzamento di solo una ristretta minoranza di italiani (i giudizi positivi sull’operato del governo sono infatti scesi ormai stabilmente sotto la soglia del 40%), e anche tra chi sarebbe ancora disposto a sostenere questa coalizione di Governo ci sono molte persone insoddisfatte del suo operato. Il grande comunicatore è costretto quindi a tornare in campo, come è accaduto recentemente, quando è tornato a partecipare ad alcune trasmissioni televisive dopo diversi anni di assenza. Ma la comunicazione di Berlusconi sembra ora più stanca: il tentativo di infiammare di nuovo nei suoi (potenziali) elettori con la promessa di un nuovo sogno cozza oggi con le esperienze quotidiane di gran parte dei cittadini. Le sue promesse di un futuro radioso non possono chiaramente avere più il fascino di una volta, e ciò lo ha costretto a cambiare in parte la sua strategia, tesa ora a “comunicare quanto di buono questo Governo ha fatto in questi tre anni”, dice il Cavaliere. Una strategia di comunicazione precisa, come sempre. Ma al contrario di prima, oggi pesa l’evidente difficoltà di non poterlo regalare, questo sogno, agli italiani. E cosi la strategia comunicativa si limita a far conoscere “quanto di buono” fatto dal governo. 

2. «10 anni di battaglie per la libertà», la forza dei media

«10 anni di battaglie per la libertà» era lo slogan della Convention di gennaio 2004 che celebrava i dieci anni della nascita di Forza Italia, ma qualcuno ha fatto notare c’è un errore di fondo in tale scritta: non si tratta di 10 anni, ma bensì di un intero ventennale! Fu infatti nell’orwelliano 1984 che Silvio Berlusconi scese in campo, o meglio, entrò in maniera dirompente nelle case degli italiani attraverso il tubo catodico. All’epoca le emittenti private non potevano per legge trasmettere programmi televisivi in diretta nazionale. Ma Berlusconi riuscì, grazie alla gentile intercessione dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, ad ottenere leggi su misura che gli permisero di continuare a trasmettere e ad iniziare il suo lento ma inesorabile condizionamento massificato di milioni di famiglie italiane, più inclini a passare le proprie serate davanti alla TV che in compagnia di un buon libro.

Nei giorni in cui si è tenuta la Convention «10 anni di battaglie per la libertà» tutte le emittenti televisive, di stato e non (ormai quasi indistinguibili per programmi e pubblicità, se non per il canone), sono riuscite a trovare, nonostante le programmazioni, uno spazio enorme al congresso di Roma. Ogni canale televisivo ha inviato nelle case degli italiani le immagini selezionate, i passaggi più importanti e cruciali, le riprese aeree zoomate di persone che osannavano Berlusconi.

Tutto era calcolato: dalle scritte a caratteri cubitali al colore azzurro dello sfondo, dai vestiti dei comizianti alle centinaia di bandiere che sventolavano continuamente tra il pubblico: far vedere signore e signori di una certa età, pensionati e ragazzi che battono le mani entusiasticamente, che perdono la voce per osannare il loro leader, non è casuale. Il reale potere della TV di modellare nel pubblico la percezione della realtà sociale consiste nella rappresentazione simbolica delle norme e dei valori socioculturali che il mezzo televisivo fa assorbire nella mente degli spettatori.

I media, come apertamente sostenuto da più studiosi, contribuiscono a produrre i modelli simbolici che creano il tessuto invisibile della società a livello culturale. I media sarebbero un sostituto funzionale dei legami di gruppo, prendendo il posto di ciò che non è più realizzabile concretamente, come ad esempio il radunarsi di tutto il corpo sociale.

Certamente però sarebbe un errore pensare al caso italiano come ad una eccezione assoluta nel Mondo o anche solo in Europa. Infatti, come ricorda Gianpietro Mazzoleni nel suo contributo sulla rivista Comunicazione Politica numero 2/2003 Volume 4, “in un recente studio comparato su media e populismo in otto diversi contesti nazionali, si è osservato come ovunque gli organi di informazione, con diversi gradi di intenzionalità, favoriscono l’ascesa dei leader populisti più controversi, e come questi capitalizzino scaltramente la sovraesposizione mediatica ottenuta. Ciò è reso possibile da una “concordanza di bisogni”, anche in presenza di una “discordanza di politiche” tra gli attori coinvolti. In altri termini, media e populisti hanno bisogno gli uni degli altri per raggiungere scopi che sono ovviamente diversi.” E dunque questa sorta di appoggio diretto o indiretto che le televisioni italiane hanno tributato al Berlusconi politico non sarebbe dovuto solamente al fatto che esse sono di sua proprietà o da lui controllate, in quanto fenomeni simili si verificano anche in paesi dove il politico populista non controlla i mezzi di informazione.

C’è anche chi sostiene che il potere dei media sia principalmente nella convinzione degli esperti e dei politici che la gente venga influenzata dai mass media, non nell’influenza diretta dei mass media sulla gente. Probabilmente questo non è totalmente vero, in quanto se i mass media non avessero alcuna un’influenza diretta sulla gente non si capirebbe perché politici e governi di ogni paese fanno di tutto per controllarli o regolarli. Certo, è difficile o impossibile stabilire quanta influenza abbiano i media in un determinato gruppo di persone, in qaunto il loro potere di persuasione viene filtrato e mediato da conoscenze pregresse, appartenenze di gruppo e dalle influenze che le altre persone esercitano sui fruitori. Ma è innegabile che poiché hanno un effetto sugli individui (o almeno si ritiene che lo abbiano), i media hanno un effetto anche su altri attori e istituzioni sociali. E’ per questo che si può forse sostenere che Berlusconi, prima ancora di vincere le ultime elezioni politiche, abbia abilmente convinto gli elettori e gli avversari politici di averle vinte. Come? Attraverso un continuum pluriennale di dichiarazioni che ostentavano la sicurezza nella vittoria e attraverso la diffusione di sondaggi che intendevano dimostrare come il centro-destra avrebbe sicuramente vinto quelle elezioni6.

Berlusconi con due figlie - versione buon padre di famiglia.

Berlusconi con due figlie, versione buon padre di famiglia.

  

3. Il venire meno delle appartenenze partitiche e la sempre più palese importanza della comunicazione politica attraverso la TV

Il voto oggi è più fluido di ieri, non più riferibile a logiche internazionali o di gruppi occupazionali, e questo per via della fine della contrapposizione tra i due blocchi, come anche per il marcato mutamento della stratificazione sociale e della massiccia introduzione delle tecniche di marketing in politica. Oggi la rappresentanza dell’interesse di gruppo sociale ad un partito o ad uno schieramento può essere accordata mediante voto a dispetto del fatto che è del tutto improbabile che quel partito/schieramento onorerà la preferenza concessa. La capacità d’attrazione delle ideologie si è liquefatta di fronte all’universo interconnesso delle reti mediali, che offre sempre più intrattenimento per i consumatori e sempre meno informazioni ai cittadini. E’ proprio questo, abbinato ad un sapiente uso del marketing politico, uno dei fattori che ha permesso a Berlusconi di creare e far affermare il suo partito in poche settimane: la comunicazione povera d’informazione e ricca di consumo e pubblicità, che gli consente infatti di rivolgersi anche a gruppi apparentemente a lui remoti come operai e disoccupati, ma soprattutto di direzionare i suoi messaggi “trasversali” ai gruppi in ascesa quantitativa e qualitativa. Dunque Berlusconi è riuscito a vincere non solo grazie al voto dei gruppi a lui più vicini, come ad esempio i ceti sociali emergenti nella modernizzazione del paese (imprenditori, professionisti, tecnici, lavoratori dipendenti), ma anche grazie al voto di strati sociali più periferici. Da studi e ricerche effettuate si vede come a premiare Berlusconi siano stati soprattutto gli elettori più anziani, le donne (soprattutto le casalinghe), le persone con livelli di istruzione più bassi, con meno interesse per la politica e che passano più ore al giorno davanti alla televisione.

Dunque è ora chiaro come il venire meno delle appartenenze partitiche tradizionali e la parallela affermazione della televisione come mezzo di comunicazione di massa che arriva al massimo numero di cittadini-elettori possibile hanno elevato e reso primaria l’importanza della comunicazione politica come strumento di cattura e mantenimento del consenso, ed in particolare hanno decretato l’insostituibilità del sistema mediale per parlare direttamente agli elettori, fargli arrivare praticamente senza filtri le prese di posizione, i programmi e le promesse dei politici.

Forza Italia è dunque un partito interclassista, che raccoglie consensi tra ceti sociali anche molto lontani tra loro. Certo, anche la Democrazia Cristiana era un partito interclassista, ed il bacino elettorale è in parte lo stesso. Ad ogni modo le differenze fra i due partiti sono moltissime, anzi da molti punti di vista non c’è partito più diverso dalla Democrazia Cristiana di Forza Italia. Basta dire che la Democrazia Cristiana si fondava (almeno in teoria) su valori religiosi, mentre il partito di Berlusconi si basa su valori definibili addirittura mercantili. Inoltre si può affermare che il gruppo dirigente democristiano era sempre più avanti della sua base, e che spesso nel personale politico e nei dirigenti scudocrociati c’era un vero e proprio atteggiamento pedagogico nei confronti dei cittadini, atteggiamento che invece non si ritrova affatto in Berlusconi, che al contrario, come discusso in precedenza, sembra spesso essere una sorta di megafono dei sentimenti e luoghi comuni popolari.

4. Conclusione

In conclusione possiamo affermare che, a dieci anni dall’ingresso nella scena politica di Berlusconi e del suo partito, Forza Italia, oramai tutti i partiti e i politici italiani hanno compreso la fondamentale importanza della comunicazione politica. Hanno compreso come la media logic e il format tv oggi si impongono sul discorso prettamente politico, personalizzandolo, spettacolarizzandolo e creando duelli mediatici fra i leader (M. Rodrigues, 2004), più che dibattiti sulle idee. I politici italiani si sono adattati, contornandosi di esperti di comunicazione e marketing politico, sondaggisti e curatori del look, ed ora, a differenze che nel 1994, la lotta politica in questo si svolge più o meno con le stesse armi.

Se vogliamo per un attimo guardare al futuro, potremmo azzardare che la prossima frontiera della comunicazione politica, dopo la televisione, sarà probabilmente la Rete. Tutti i partiti politici italiani, nessuno escluso, sono oggi molto indietro nell’uso della Rete: si limitano a costruire improbabili siti che contengono gli stessi messaggi e gli stessi contenuti di un giornale di partito, che si rivolge quasi esclusivamente al proprio elettorato. Al contrario, il leader politico del futuro dovrà conoscere, innanzitutto, la cultura della Rete, per rendere i propri messaggi mirati ed efficaci, diventando così capace di raggiungere anche questa parte dell’elettorato, destinata ad essere sempre più numerosa ed a contare quindi sempre di più. A questo punto quindi non sarebbe sorprendente se il prossimo grande comunicatore, invece che nascere dalla televisione, nascesse dalla rete.

BIBLIOGRAFIA

  • Mazzoleni, Gianpietro. “Un numero speciale per un anniversario speciale.” Comunicazione politica, volume V numero 1, Franco Angeli, 2004, pp. 143-154.
  • Mannheimer, Renato. “Berlusconi e il mercato elettorale.” Comunicazione Politica, volume V numero 1, Franco Angeli, 2004.
  • Novelli, Edoardo. “Forza Italia. Origini, trionfo e declino del partito televisivo.” Comunicazione Politica, volume V numero 1, Franco Angeli, 2004.
  • Pasquino, Gianfranco. “L’antipolitica scende in campo.” Comunicazione Politica, volume V numero 1, Franco Angeli, 2004.
  • Rodriguez, Mario. “Conferme e novità: il dopo Berlusconi è già iniziato.” Comunicazione Politica, volume V numero 1, Franco Angeli, 2004.
  • Sani, Giacomo. “Televisione e consensi elettorali: sette lezioni in forma di dialogo.” Comunicazione Politica, volume V numero 1, Franco Angeli, 2004.
  • Thompson, John B. Mezzi di comunicazione e modernità. Il Mulino, 1995.

NOTE

1 Per un elenco delle proprietà di Berlusconi cliccare su questa pagina: http://asiablog.it/2007/06/14/proprieta-di-berlusconi/

2 Dal video-discorso di Berlusconi del 26 gennaio 1994 in cui annunciò la sua entrata in politica con la nascita del movimento “Forza Italia”: https://www.youtube.com/watch?v=DWETaMSRG-c

3 Ancora: “Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.
Mai come in questo momento l’Italia ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare lo Stato “. Silvio Berlusconi, “Per il mio Paese” (26 gennaio 1994). Il testo integrale è disponibile al seguente indirizzo: http://www.forzaitalia.it/silvioberlusconi/07_nasce.htm

Mentre lo storico video della discesa in campo è visibile al seguente indirizzo: http://www.forzaitalia.it/silvioberlusconi/la-discesa-in-campo.htm

4 Si legge sul sito di Forza Italia, http://www.forzaitalia.it/silvioberlusconi/07_nasce.htm

Un Nuovo Modo di Fare Politica
Berlusconi sa comunicare davanti ai microfoni della radio, davanti alle telecamere, in diretta davanti a migliaia di persone. I suoi interventi non possono essere paragonati ai comizi di vecchio stampo. Preferisce ragionare, discorrere, rispondere alle battute degli ascoltatori, avvincerli col pathos e con l’ironia. Nei teatri e nei palazzetti dello sport quando è sul podio (esige scenografie lineari e riconoscibili ed ha eliminato gli schieramenti delle nomenklature di partito alle spalle dell’oratore) alterna gli interventi pronunciati dalla postazione fissa con brevi camminate sul palco, microfono in mano. E spesso scende tra la gente improvvisando un susseguirsi di domande e di risposte. La sua è un’abilità oratoria naturale affinata negli anni con l’esercizio, lo studio, le letture. Parla a braccio, preparando solo la scaletta e i punti chiave dell’intervento. Ricorda a memoria nomi, cifre, concetti. Non abusa nelle citazioni il che, considerato il “teatrino della politica” non è poco. Anzi. Come acutamente fa notare Paolo Guzzanti, “soltanto Berlusconi oggi in Italia ha quel dono particolare che gli permette, al di là dei contenuti informati e ben organizzati, di entrare in contatto diretto con un comune sentire collettivo che è negli occhi e nelle emozioni di una folla tutt’altro che amorfa. Anzi, una folla fortemente strutturata, che si aspetta dei messaggi e dei doni identici e complementari a quelli che sono già maturati autonomamente nelle persone singole che la compongono… Fra leader e pubblico è già operante un contratto stipulato attraverso emozioni di tipo morale. Il pubblico dei cittadini sente di aver fatto un investimento. Lui, Berlusconi, sente a pelle che quel contratto è operante e che su di lui si polarizzano attese forti, pesanti, complicate. Il pubblico che circonda il Berlusconi dei discorsi a braccio è, infatti, un pubblico fortemente emozionato, ma di un’emozione appunto di tipo morale”. Appunto, morale. Perché morale? Perché la gente, il popolo che si riconosce in Silvio Berlusconi, i milioni di italiani di tutti i censi che hanno fiducia in lui, gli hanno affidato le loro speranze di radicale cambiamento rispetto alla vecchia politica e ai vecchi partiti, il bisogno di modernità ed efficienza, la loro opposizione profonda e sentita al comunismo, l’amore per la libertà e la democrazia. Quando vanno ad ascoltarlo, sentono un’esigenza di verità. E Berlusconi non li delude mai. Non fa giri di parole, non esprime concetti fumosi, non usa bizantinismi. Parla con il cuore, dice cose semplici, scherza, ironizza, convince con argomentazioni chiare e nette e dopo un’ora, due ore filate le sue “azzurre” e i suoi “azzurri”, ammaliati e conquistati vorrebbero che ricominciasse daccapo.

5 Il Governo Berlusconi I ebbe vita breve: cadde dopo pochi mesi per via di un “golpe giudiziario”, secondo Berlusconi, mentre in realtà al Presidente del Consiglio venne semplicemente a mancare l’appoggio della Lega Nord, che infatti alle elezioni del 1996 si presenterà da sola, criticando fortemente Forza Italia e in particolare il suo leader, accusato di mafia e altri affari illeciti.

6 Mentre, una volta scrutinati i voti reali, risultò chiaro che se l’alleanza di centro-sinistra avesse trovato un accordo con la Lista Di Pietro e con Rifondazione Comunista, come nel 1996, avrebbe agevolmente ottenuto la maggioranza dei voti.

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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2 Responses to Comunicazione politica: Berlusconi grande comunicatore

  1. RESPINGO L’ USO SCANDALISTICO DEL TITOLO DI CAVAGLIERE. CHI ANCORA LO USA PER IL PREGIUDICATO BERLUSCONI , E’ UN IGNORANTE E CANCELLA TUTTO CIO’ CHE C’E’ DI BUO
    NO IN QUESTO ARTICOLO. VALENTINO LAZZARINI.

    • tiziano matteucci says:

      Valentino, abbi pazienza, all’epoca di questo articolo (agosto 2007), il titolo di Cavaliere, a suo tempo concesso a B., ha perso la sua validità solo nel marzo 2014 per di più con un’autosospensione.

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