Italiani in Asia – Nuovo appuntamento con la sezione di Asiablog dedicata a interviste e opinioni di connazionali in Oriente.
Dopo una chiacchierata tra il sottoscritto e Fausto ed uno scambio di idee con Barbara sui concetti di viaggio e multicultura, in questo spazio abbiamo presentato Marco Ferrarese, dottorando, rocker, scrittore e globetrotter residente in Malesia; Alessandra Colarizi, giovane sinologa romana a Pechino; Furio, simpatico italiano che vive in Cina dal 2010; e Mauro Proni, che ha abbandonato una carriera nel settore legale per trasferirisi in un paese del quale in molti non hanno mai sentito parlare: il Laos. Oggi è la volta di una ragazza, Tatiana, che è volata in Cina per insegnare la lingua italiana.
Come sempre, ci auguriamo che questa sezione possa aiutare a chiarire dubbi, confermare opinioni e aiutare chi dall’Italia sta pensando di trasferirsi in Oriente per affari, lavoro, viaggi, studio, amori, o quant’altro… buona lettura!
Ciao Tatiana, come va?
Benissimo, grazie Alessio, e tu?
Bene, e grazie per la tua disponibilità.
E’ un piacere.
Dunque, veniamo al sodo: presentati ai lettori, per favore.
Mi chiamo Tatiana Camerota, ho 25 anni e vivo in Umbria, a Città della Pieve (PG). Nel 2011 mi sono laureata in Mediazione Linguistica e Culturale presso l’Università per Stranieri di Siena. È proprio lì che la Cina è entrata a far parte della mia vita: ho infatti iniziato, per pura curiosità, a studiare cinese e mi sono appassionata sempre più a questa complessa quanto affascinante lingua, cultura e realtà, che continua quotidianamente a stupirmi, nel bene e nel male. Da quest’anno accademico proseguirò gli studi con il Corso di Laurea Magistrale in “Interpretariato e Traduzione”, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (LUSPIO). Oltre le lingue e la traduzione, amo leggere e informarmi, viaggiare e andare oltre. Mal tollero l’indifferenza, la superficialità, l’arroganza e l’ignoranza di chi parla a vanvera. Citazione preferita: “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere” (Gandhi).
Viste le tue passioni, direi che è un piacere conoscerti, Tatiana. Adesso parliamo di Cina. Raccontaci delle tue esperienze lavorative in Cina o attinenti alla Cina.
Prima dell’esperienza in Cina di quest’anno – di cui parlerò tra pochissimo – avevo già visitato altre due volte l’Impero di Mezzo. La prima volta nel 2008, in occasione di un viaggio-studio di un mese presso l’Università Normale di Nanchino; la seconda nel 2011, dopo la laurea, quando ho trascorso cinque mesi a Pechino, prima per uno stage con AIESEC (associazione studentesca) poi lavorando come insegnante di italiano a studenti cinesi. Negli ultimi anni, inoltre, ho avuto il piacere di lavorare anche in Italia in diverse occasioni e ambienti collegati al mondo cinese. Nel 2012 ho iniziato la mia collaborazione con la “Biblioteca Comunale e Archivio Storico Piero Calamandrei” di Montepulciano, in provincia di Siena, per la catalogazione (tuttora in corso) di alcune donazioni di libri cinesi. Con la stessa Biblioteca abbiamo organizzato, nel luglio 2012, la mostra d’arte e cultura cinese “Il Drago e la Farfalla”, e nel settembre di quest’anno abbiamo collaborato all’organizzazione della mostra dello scultore cantonese Xu Hongfei a Montepulciano, evento per il quale io ho lavorato come traduttrice e interprete di una delegazione cinese di oltre trenta persone. Infine, partirà a breve un nuovo progetto volto a una maggiore sensibilizzazione dei soggetti interessati per quanto riguarda la cultura e la presenza cinese in Toscana in vari settori di scambio e collaborazione (imprenditoriale, turistico, culturale) e realizzato grazie a un accordo della biblioteca con l’Hanban, istituzione del Ministero dell’Istruzione cinese preposta alla diffusione e all’insegnamento della lingua e cultura cinese nel mondo.
Parliamo ora della tua ultima esperienza in Cina. Quando e perché ti è venuta la voglia o è sopraggiunta la necessità di partire?
Nel mio caso, a dire il vero, è la Cina che in qualche modo è venuta a cercare me. Mi spiego meglio: a fine aprile di quest’anno ho ricevuto una proposta di lavoro per andare tre mesi in Cina come insegnante di italiano presso una scuola privata. Proposta arrivata in maniera del tutto improvvisa e inaspettata, ma molto gradita. Avendo il desiderio di tornare in Cina, ho quindi colto l’occasione e accettato subito piena di entusiasmo, anche perché mi trovavo in un precario periodo di stallo e incertezze sul futuro (come del resto molti miei coetanei). A esperienza conclusa, posso affermare che non avrei potuto fare scelta migliore: un’esperienza all’estero (ma se possibile anche più di una) arricchisce inevitabilmente la nostra vita, a prescindere dall’esito della stessa.
Come si è svolta questa tua esperienza?
Sono partita nel giro di due settimane, a inizio maggio, e rientrata il primo agosto. È stata un’esperienza piuttosto intensa e movimentata. In tre mesi ho vissuto e lavorato in tre città diverse: prima a Chengdu, capitale del Sichuan (Cina sud-occidentale), poi Shijiazhuang (capitale dell’Hebei, nord-est), e infine le ultime tre settimane a Pechino. Ciascuna città mi ha dato modo di conoscere realtà e ambienti diversi, così come di incontrare nuove persone e creare nuovi rapporti, alcuni dei quali duraturi. Per quanto riguarda l’esperienza lavorativa, insegnare italiano a stranieri, e nello specifico ai cinesi, è un’attività per nulla facile e scontata ma ricca di stimoli e scoperte quotidiane, che ti dà modo di metterti in gioco e migliorarti giorno dopo giorno. Nell’arco dei tre mesi ho avuto diverse classi, diversi livelli, studenti con esigenze e predisposizioni molto differenziate. Ciò che ho cercato di fare è fornire loro gli strumenti per potersela cavare una volta arrivati in Italia; si trattava infatti di giovani studenti che poi verranno a studiare presso le nostre università. Alcuni di loro, in realtà, sono già qui, e per me una delle conseguenze più belle di questo lavoro è proprio poter rincontrare i miei studenti in Italia e aiutarli in caso di bisogno.
E com’è stata la tua integrazione in una realtà così differente da quella italiana?
Come ho già detto, questa è stata la mia terza esperienza in Cina, quindi in termini di adattamento e integrazione è andata decisamente meglio rispetto alla prima volta che ho messe piede in terra cinese. Prima volta che potrei effettivamente definire con la comune espressione “shock culturale”, non dando necessariamente a tale espressione un’accezione negativa ma intendendo comunque una realtà completamente diversa da quella alla quale ero abituata. Ad ogni modo, se c’è volontà, le difficoltà e le diversità si superano, e progressivamente ci si adatta. Stavolta mi sono sicuramente sentita meno un pesce fuor d’acqua, anche grazie al fatto che i problemi linguistici erano minori e conoscevo già le principali abitudini e modi di fare dei cinesi. Tuttavia, è sempre valido il detto secondo il quale non si finisce mai di imparare: sapeste quante cose nuove ho appreso e quante ancora aspettano di essere scoperte! Mi sono ad esempio resa conto di quanta ricchezza offra ciascuna provincia cinese in termini di località tipiche, bellezze naturali e tradizioni culturali; mi auguro di poterle vivere presto.
Qual è l’ostacolo principale per un italiano in Cina?
Non mi sento di indicare un aspetto piuttosto che un altro. Qualcuno potrebbe trovare difficoltà con il cibo, qualcun altro con l’ambiente diverso, altri ancora potrebbero avere problemi di comunicazione o non trovarsi bene nei rapporti (personali o professionali) con i cinesi. Dipende dalla personalità, dalla predisposizione, dalle abitudini e dalle preferenze di ognuno di noi. È dunque soggettivo. Quello che mi sento di dire è senz’altro la generale sensazione di “straniamento”, nel suo complesso. Le diverse abitudini di vita e modi di fare potrebbero inizialmente disorientare. Occorre la capacità di adattarsi a un ambiente diverso dal nostro, di cercare in qualche modo di integrarsi, o al massimo di trovare un punto d’incontro. Lentamente questo senso di “straniamento” passa. Le prime differenze o quelle che noi consideriamo bizzarrie non ci devono scoraggiare, demotivare, ma al contrario rappresentano un’opportunità da cogliere per conoscere nuovi stili di vita. Che poi potranno piacerci o meno.
Potresti spiegarci come sono i cinesi? O meglio, ci sono stereotipi da superare e/o aspetti dei cinesi che non conosciamo ma che dovremmo sapere?
Gli stereotipi sono innumerevoli. È legittimo avere idee e opinioni contrastanti, a patto che si sappia argomentare. Vorrei subito sfatare un “mito”, purtroppo diffuso in Italia e forse non solo. I cinesi sono persone come tutti noi, con la loro identità e la loro personalità, con pregi e difetti e aspirazioni. Sono anche molto diversi fra loro. Non mi piace affatto omologarli come un grande “blocco monolitico” di persone aventi le stesse identiche due o tre caratteristiche. A mio modesto parere, i cinesi sono tante cose, cose non necessariamente presenti tutte insieme; proverò a elencarle, lasciando in cima alla lista la parola variegati. Sanno essere caotici, poco educati, invadenti. Sanno ridere, divertirsi e divertirti con ironia e acume. Amano il denaro e il potere. Sanno spiazzarti e stupirti, nel bene e nel male. Sono pratici e pragmatici. Non amano troppi fronzoli o giri di parole: diretti e sintetici nella forma, talvolta però misteriosi e poco chiari nella sostanza. Non sempre si riesce a capire se quanto dicono sia effettivamente vero, o se ci sia dell’altro dietro. Sanno essere delle perfette “macchine da lavoro”: efficienti, precise e puntuali. Raramente escono fuori dagli schemi prefissati, semplicemente perché sono abituati a seguire la via indicatagli e non sempre vanno oltre o al di là di quella. Tengono alle cosiddette guanxi (le relazioni e i contatti interpersonali, fondamentali nei rapporti sociali e soprattutto nel lavoro), e al non perdere la faccia. Tengono al valore dell’ospite e dell’accoglienza, e sanno essere incredibilmente generosi. Il lavoro e la famiglia sono essenziali nelle loro vite: per un genitore, ad esempio, è prioritario che il proprio figlio studi, si realizzi professionalmente, diventi qualcuno e, parallelamente, trovi moglie (o marito) e dia loro un bel nipotino.
Qual è il tuo rapporto con il cibo cinese?
Adesso molto buono, direi. Mangio praticamente tutto – con rare eccezioni – prediligendo alcuni sapori e alcuni piatti ad altri. La prima volta che sono andata in Cina, l’impatto non nego che sia stato forte. Odori e sapori diversi, accostamenti strani, e soprattutto abitudini e modi di fare a tavola completamente diversi dai nostri. Mi sono lentamente abituata, e anche se permangono alcuni usi che non amo particolarmente, adesso riesco a tollerarli e so comportarmi di conseguenza. Va poi detto che l’arte culinaria cinese ha una tradizione antica; l’offerta è ricca e variegata e soprattutto cambia da provincia a provincia, un po’ come le nostre specialità e tipicità regionali e locali. La cosa che amo fare sopra tutte è scoprire cibi nuovi e assaggiare nuovi piatti, spesso a mio rischio e pericolo; ciò avviene soprattutto negli innumerevoli chioschetti e piccoli ristoranti che si trovano per le strade, alcuni dei quali hanno una forte identità storico-culturale.
Lingua cinese: amica o nemica?
Per me che la studio, questa è una domanda fondamentale! Adesso inizia a essere un’inseparabile amica, ma non nego di aver attraversato varie fasi di alti e bassi. D’altronde è inevitabile passare da momenti di assoluta frustrazione a momenti di pura euforia e soddisfazione quando riesci a comunicare in situazioni più o meno complesse. È un’alternanza continua, un never-ending process, del quale adesso però, a differenza di qualche anno fa, riconosco il senso e l’utilità. Fondamentale è poi l’aspetto pratico. Più la si parla e la si usa in situazioni reali e in loco, più si migliora. Più si riesce a comprendere la lingua dei locali (pur con tutti i loro dialetti e accenti diversi), più si riesce a capire la Cina dall’interno. Non sono d’accordo, ad esempio, con chi dice che per vivere in Cina sia sufficiente l’inglese. A un livello superficiale o di puro business probabilmente sì, ma per me è fondamentale il contatto diretto con la vita quotidiana di tanti cinesi che sicuramente l’inglese non lo parlano. La conoscenza di un popolo e della sua cultura passa innanzitutto dalla conoscenza della sua lingua e dai significati profondi e spesso complessi dei suoi tanti modi di dire. Un ponte, insomma, che ti permette di abbattere le barriere più velocemente.