Gli imbecilli esistono — e magari lo sapevate già — ma banalità, semplicismo e generalizzazioni su Internet non aiutano di certo
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima – spiega Umberto Eco – parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli“. E ancora: “Internet? E’ il luogo dove nascono le più assurde teorie complottistiche”.
Per Eco dunque, prendendo per buone le sue dichiarazioni riportate dai giornali, la Rete sarebbe un vero e proprio “dramma” di portata epocale perché favorirebbe “l’invasione degli imbecilli” promuovendo “lo scemo del villaggio a detentore della verità”. Insomma, “che roba, Contessa” — avrebbe potuto concludere il semiologo di Alessandria — anche gli imbecilli vogliono avere diritto di parola, “e pensi che ambiente che può venir fuori, non c’è più morale, Contessa!”
Ironia a parte, il ragionamento attribuito a Umberto Eco sembra un concentrato di banalità, semplicismo, generalizzazioni e tecno-scetticismo anni Novanta.
Eco ha ragione quando spiega che i nuovi media permettono a più persone di comunicare di più rispetto ai media meno nuovi. Ha ragione ma scopre l’acqua calda: l’avevamo capito già da quando i papiri sostituirono le incisioni rupestri — intuizione riconfermata con l’invenzione della stampa a caratteri mobili che mandò in pensione gli scribi.
Eco pecca di semplicismo, invece, quando sembra dipingere un mondo diviso tra non-imbecilli e imbecilli per poi concludere che internet ha dato parola a quest’ultimi, che invece prima parlavano meno e quando lo facevano venivano subito “messi a tacere”. (Da chi? Da altri “imbecilli” o dai “non-imbecilli”?). Al contrario, lo sanno anche i bambini, l’imbecillità — comunque la si voglia definire — esisteva ed esiste anche fuori dalla Rete. Gli imbecilli parlavano e parlano anche a casa, al bar, in piazza, nei luoghi di lavoro e ovunque si trovino. Inoltre gli imbecilli comunicano anche attraverso altri mezzi di comunicazione: ci sono imbecilli alla radio e in televisione, sui giornali e anche sui libri. E’ anche risaputo, tanto per cavalcare le generalizzazioni attribuite ad Eco, che cercare di mettere a tacere un imbecille è impresa ardua, e che ragionare con un imbecille è come giocare a scacchi con un piccione: “Potresti essere il più grande giocatore del mondo ma il piccione continuerà a rovesciare tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e camminerà impettito andando in giro con aria trionfante”, ha scritto qualcuno.
Eco fa un discorso molto semplicistico (spero semplificato da chi riporta le sue parole) anche quando parla di quello che a suo parere sarebbe il lato positivo di Internet:
“quel fenomeno che permette a certa gente di essere in contatto con gli altri — escludendola però da tanti contatti faccia a faccia — crea da un lato un fenomeno positivo: pensiamo alle cose che succedono in Cina o a Erdogan in Turchia.”
Ma è vero che internet impedisce o limita i contatti faccia a faccia? In che modo? Non è quantomeno problematico affermare, come sembra fare Eco, che internet escluda i contatti faccia a faccia? Si potrebbe argomentare, generalizzando ma meno di quanto generalizzino le affermazioni attribuite ad Eco, che prima di internet un torinese non aveva l’opportunità né di comunicare con un turco né di incontrare un pechinese. Oggi lo stesso torinese può prima conoscere e comunicare con turchi e cinesi su internet — un mezzo semplice ed economico — e poi può decidere di incontrarli faccia a faccia. Internet non lo impedisce e tantomeno lo “esclude”. (Forse lo favorisce, ma non è questo il punto).
Questo concetto ha anche applicazioni meno banali, se è vero, come è vero, che il secondo partito italiano alle ultime elezioni politiche — il Movimento 5 Stelle, circa 8,6 milioni di voti — è nato su dei siti internet dove alcune persone hanno prima comunicato e poi hanno deciso di incontrarsi faccia a faccia (meet-up, manifestazioni, ecc.). In questo caso, sembra che internet abbia favorito gli incontri faccia a faccia, piuttosto che “escluderli” come sembra affermare Eco. In modo simile, c’è chi sostiene che senza internet le centinaia di migliaia di tunisini o egiziani non si sarebbero incontrati, faccia a faccia, nelle piazze di Tunisi e Il Cairo per fare la rivoluzione.
Anche dire che gli imbecilli “sono persone che prima venivano messe a tacere dai compagni” è in definitiva una ennesima generalizzazione. Non è vero, non sempre e non necessariamente. Tanto per rendere meno semplicistico il ragionamento di Eco, si potrebbe ricordare che Adolf Hitler, che Eco menziona, ha iniziato la sua carriera proprio al “bar” (o meglio, trattandosi di Germania, in birreria), e non è stato messo a tacere dai suoi compagni. Anzi, gli hanno battuto le mani e lo hanno pregato di continuare a parlare. Se invece che fare discorsi al bar li avesse fatti su YouTube o Facebook, si sarebbe beccato una montagna di “like”. Applaudire o cliccare “like”, due modi diversi ma simili di comunicare.
A questo punto vale la pena anche chiedere, sempre per problematicizzare le banalità delle dichiarazioni attribuite ad Umberto Eco: ma in democrazia è opportuno “mettere a tacere” le persone? Oppure è giusto e/o necessario, per quanto non ci possa piacere, che il più imbecille del pianeta abbia diritto di parola proprio come Umberto Eco, il papa e Barack Obama?
Rispondere a questa domanda va oltre l’ambizione di questo post, mentre invece va precisato che dire che la popolazione mondiale è formata da “legioni di imbecilli” — forse la frase più ripresa dai “giornali cartacei” dei quali Eco tesse le lodi — non è né una novità né tantomeno una scoperta epocale. Eco non vincerà un premio Nobel per questa “scoperta”. Credo anzi sia un fatto che persino gli imbecilli intuiscono più o meno tra la pubertà e la maggiore età.
Tra l’altro, incidentalmente questa constatazione è stata anche di centrale importanza nella storia dell’umanità, se è vero, com’è vero, che è dall’inizio dei tempi che le classi colte cercano di difendere il loro potere e le loro ricchezze da “legioni di imbecilli”, schiavi, analfabeti, contadini, operai e morti di fame vari. (Per questo fine, escludere le masse dalla produzione e dal consumo dell’informazione è stato, per migliaia di anni, decisamente utile alle classi dominanti). Ed è dall’avvento del suffragio universale che, ogni volta che il risultato delle urne non piace, alcuni tra i colti/istruiti/intellettuali o presunti tali se ne escono con ragionamenti del genere:
“Che roba, Contessa! Il mio voto informato vale uno come il voto di una novantenne analfabeta di Canicattì o del profondo Veneto! Quella è gente che vota secondo le indicazioni del parroco oppure vende il voto per un paio di scarpe nuove. Non c’è più morale, Contessa!”
Ovviamente, come tutte le generalizzazioni e come molti discorsi semplicistici, le battute attribuite a Eco non sono totalmente campate in aria: è ovvio che in Italia e nel mondo qualcuno è meno istruito di qualcun altro, e che qualcuno è più imbecille di qualcun altro, qualunque sia la definizione di imbecillità. Questo però è vero tra chi usa i social media come tra chi non li usa, tra chi ascolta la radio come tra chi non la ascolta, tra chi legge le opere Eco come tra chi non legge le opere di Eco. Era vero 30 anni fa quando non c’era internet, 100 anni fa quando non c’era la televisione, 1.000 anni fa quando non c’erano i giornali e 10.000 anni fa quando non c’erano i papiri.
Sto dicendo che, a mio avviso, un non-imbecille come Eco ed i giornalisti professionisti che riportano simili banalità non dovrebbe(ro) limitarsi a dichiarare che al mondo esistono imbecilli e non-imbecilli: lo sappiamo, lo sapevamo, l’abbiamo sempre saputo. Tra l’altro, se volessimo parlare di comunicazione ad un livello meno banale di quello utilizzato dalle frasi di Eco riportate dalla stampa, sappiamo anche, per lo meno da vent’anni, che nonostante sia vero che il web ha dato “diritto di parola” agli imbecilli, cioè che ha reso in qualche modo più visibili gli imbecilli tanto temuti da Eco, è problematico affermare che esista un pericolo “invasione degli imbecilli”. Solo guardando a Twitter, che Eco cita come esempio di social media, vediamo che ad oggi la CNN ha 27 milioni di followers, il Corriere della Sera oltre 1 milione, questo blog qualche decina di migliaia e la persona più imbecille del vostro quartiere solo poche decine.
Questo lascerebbe pensare che lo scemo del villaggio abbaia alla luna su Twitter così come faceva sulla piazza del paese, con tante persone, credo la maggioranza, capaci prima come oggi di distinguere la differenza di serietà tra gli articoli della CNN e le sparate dell’imbecille di turno. (Non sempre, ovviamente, come dimostrato dall’esempio di Hitler). Questo equivale a dire che l’essere umano medio, pur non essendo sempre capace di capace di leggere e scrivere a livelli decenti, e pur non essendo sempre capace di distinguere una notizia vera da una bufala senza senso, non è completamente sprovveduto. Ma significa anche che, oggi come ieri, riceviamo la maggior parte delle informazioni da organizzazioni che, per dirla con Eco, sono composte da esperti della comunicazione che scrivono, filtrano ed impacchettano le notizie per la massa dei consumatori. Con tutti i lati positivi e negativi che questo comporta.
Ovviamente, dire che la maggior parte dell’informazione che consumiamo è ancora prodotta da professionisti non significa che tante persone, imbecilli o non-imbecilli, non possano finire per bersi la retorica del demagogo di turno o le bufale e le notizie manipolate dei giornali o dei siti che fanno informazione in modo violento, strillato e disonesto. Ma è semplicistico ed in definitiva errato dipingere internet come una fucina di complottismo. Gigantesche bufale ed impressionanti fenomeni di complottismo e credulità popolare sono una costante della storia umana di gran lunga precedente ad internet. Se questo accada oggi più o meno di ieri è ancora oggetto di dibattito e non esistono, per il momento, risposte definitive. Quel che è certo, a mio modesto avviso, è che un corretto uso del web permette oggi di verificare l’autenticità dei Protocolli dei Savi di Sion in modo decisamente più semplice, veloce ed economico che in passato. Certo, bisognerebbe promuovere le competenze mediali a partire dalle scuole elementari, e siamo già in ritardo di decenni per colpa dell’imbecillità delle nostre classi dirigenti e di noi italiani che le eleggiamo, ma un giorno ci arriveremo.
Semplicismi e generalizzazioni a parte, l’intero ragionamento attribuito ad Eco finisce per spararsi ai piedi da solo, come dicono gli anglofoni, quando il semiologo dice che:
…si farà strada la domanda: “Chi l’ha detto?” L’ha detto Twitter. Quindi tutte balle.
Dunque, seguendo questo ragionamento, arriverà anche un imbecille o un non-imbecille che, leggendo questa dichiarazione di Eco su Twitter, risponderà: “Twitter. Quindi tutte balle.” Paradossale. E difatti non è così. In realtà, a dire quelle parole non è stato Twitter, come sembra dire semplicisticamente Eco: a dire quelle parole è stato Umberto Eco! (O almeno così sostengono alcuni giornali). Perché Twitter non dice nulla, come non dice nulla Facebook, la televisione, il telefono o il libro: sono le persone che dicono, scrivono, comunicano. E questo lo capisce anche un imbecille.
Paradossalmente, mettendo da parte i toni (forse volutamente) parziali e semplicistici con i quali Eco, fresco di laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media” all’Università di Torino, sembra aver bocciato i nuovissimi media, ad aver ricevuto meno eco (con la lettera minuscola) sulla stampa è una delle questioni più importanti sollevate dalla rivoluzione di internet.
Quello che un non-imbecille come Eco dovrebbe spiegarci, se possibile in modo dettagliato, è come trasformare queste “legioni di imbecilli”, che purtroppo, stando alle statistiche, in Italia sono più ampie che in altre Paesi occidentali, in legioni di cittadini istruiti ed informati in grado di filtrare le informazioni e partecipare attivamente ed in modo costruttivo alla “sfera pubblica” habermasiana. Magari il nostro amato Umberto Eco ce lo spiegherà alla prossima lectio magistralis, che magari tanti poveri imbecilli seguiranno online, cioé su internet.
***
ADDENDUM – 11 luglio 2015
In seguito alla pubblicazione di questo post mi sono imbattuto in una serie di interventi sull’argomento degli “imbecilli” di Umberto Eco che credo valga la pena segnalare. A seguire, ne riporto cinque. Se qualcuno volesse suggerirne altri, vi prego di farlo nella sezione commenti. Grazie.
1. ARTURO DI CORINTO
Il giorno successivo la pubblicazione di questo post, il prof. Arturo Di Corinto, in un intervento intitolato Gli imbecilli e la libertà da Gutenberg a Facebook per Eco che non ha capito il senso del web, ha sostenuto tesi molto simili alle mie. Di Corinto sottolinea come internet abbia assunto un ruolo di “piazza digitale” planetaria dove tutti, imbecilli e non imbecilli, esercitano il loro diritto di parola:
Internet non ha solo offerto la “piazza virtuale” agli imbecilli, ma ha offerto a tutti noi un luogo dove poter esercitare il sacrosanto diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, alla libertà d’opinione, di critica e di satira, ma anche alla libertà di associazione e cooperazione: su scala planetaria.
Nel ribattere all’affermazione di Eco, secondo il quale «Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità», Di Corinto fa un ragionamento che mi pare molto simile al mio, ricordando che scemi del villaggio e pericolosissime scemenze sono esistite e hanno creato danni da tempo immemore, e ad ogni modo di molto precedente all’invenzione di internet, ma anche della televisione o della stampa:
Infatti per diffondere a livello planetario la bufala dei Protocolli dei Savi di Sion non abbiamo avuto bisogno di Internet. Anche la credenza che la terra fosse piatta non ha avuto bisogno di Facebook, e per ascoltare in diretta l’invasione aliena di Orson Wells ci è bastata la cara vecchia radio. E l’uso propagandistico del cinema ai tempi del nazismo per affermare il culto della razza ariana è oggetto di studio da decenni.
Dunque il fatto che Facebook o la rete, come la televisione, la radio, la sezione del partito o il bar dello sport, possano essere luogo di propaganda di teorie sballate o pericolose non porta necessariamente alla conclusione che questi “luoghi” siano responsabili di «drammi» sociali. Al contrario, i mezzi di comunicazione (dai giornali ai social media) rimangono luoghi dove le persone si incontrano per passare il tempo ma anche per parlare del mondo in cui vivono e dibattere temi concernenti la gestione della cosa pubblica:
Certo che la rete è piena di bufale e notizie inesatte! Pullula di teorie cospirative e di maleducati che danno solo fiato ai peggiori istinti pre-politici dell’umanità (in tal senso fanno storia, ad esempio, i tweet di molti politici), ma la rete ha avuto un effetto di democratizzazione delle conoscenze e del dibattito pubblico come solo si era avuto ai tempi dell’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Condivido anche la conclusione del prof. Di Corinto, che d’altronde è simile alla mia conclusione, anche se espressa in modo migliore:
La grande sfida del civic journalism, il giornalismo partecipativo è proprio questa, trasformare ogni netizen in un giornalista per caso, capace di raccontare prima e meglio delle tradizionali redazioni quello che gli succede intorno mentre succede. I giornali mainstream l’hanno capito e si sono alleati al giornalismo fai da te, basta guardare i blog dei quotidiani, quasi tutti tenuti – gratis – da giornalisti non professionisti che si sono fatti le ossa proprio su Internet.
2. ALBERTO ABBRUZZESE
In Su Umberto Eco e gli imbecilli (11 luglio 2015), il prof. Alberto Abruzzese, già direttore dell’istituto di comunicazione presso la IULM di Milano, sottolinea, con un misto di tristezza e stupefazione, l’assurdità della contrapposizione proposta da Eco tra stampa e web. Abruzzese scrive:
[…] se mai avesse avuto intenzione di alleggerire se non giustificare la propria posizione, la ha invece pesantemente aggravata, arrivando a contrapporre il mondo della parola scritta al mondo della rete in termini tanto convinti da ritenere che l’“inizio di una nuova funzione della stampa” potrebbe essere quella di verificare la bontà o meno delle notizie e dei contenuti circolanti sul web. La stampa? Quella che fa così spesso domande tanto stupide su facebook? E questo taglia la testa al toro. Siamo di nuovo nella più tracotante contrapposizione tra libro e linguaggi digitali o meglio – altrimenti non se ne esce – tra libro e vita quotidiana. Tra il soggetto moderno e le forme di vita che ora ne costituiscono una mutazione senza precedenti. Non c’è alcun motivo di soddisfazione personale o ideale (chi sono io per farlo?) nel vedere questo ostinato limite in un uomo di cultura come è Umberto Eco (e come io non riuscirei ad essere neppure dopo cinquanta anni di studio). C’è solo un gran sconcerto, perché lo si vorrebbe schierato altrove. Si vorrebbe che tanta cultura e capacità intellettuale si piegassero ad altri fini.
3. FRANCO “BIFO” BERARDI
In Che cos’è l’Eco di Facebook?, Franco “Bifo” Berardi critica l’affermazione di Eco più riportata dai media, quella che “I social media hanno dato agli imbecilli il diritto di parola”, in modo simile a quanto fatto da me e Di Corinto. Scrive Berardi:
Facebook permette a legioni di imbecilli di prendere la parola? E allora? Non la prendevano anche prima? Sul pianerottolo di casa, al bar, sulla piazza del paese. Che ci piaccia o no Facebook è un salto evolutivo nella storia della comunicazione umana, perché estende all’intero pianeta le dimensioni del bar di quartiere. Ma non dovremmo esagerare l’importanza di quello che si scrive in Facebook. Talvolta una voce che circola in Facebook può scatenare un pogrom, o una rivoluzione? Sì, ma anche nella piazza del villaggio poteva capitare di riferire voci giunte chissà da dove e chissà come, e quelle voci potevano scatenare un pogrom o una rivoluzione.
4. LELIO DEMICHELIS
Una posizione apparentemente diversa da quelle fin qui esaminate si trova in Tecno-entusiasti e imbecilli dal prof. Lelio Demichelis, sociologo all’Università degli Studi dell’Insubria. Demichelis esprime una posizione critica nei confronti della società digitale, argomentando, a mio avviso in modo convincente, che lo sviluppo della tecnica ha un impatto sociale simile a quello avuto dallo sviluppo dell’economia capitalista:
L’economia capitalista sa poi che siamo tutti soggetti desideranti e quindi gioca con il desiderio, il godimento, l’eros, il feticismo delle merci singole e di un mercato che diventa esso stesso oggetto del desiderio; e la tecnica fa esattamente altrettanto (con la rete e lo smartphone come oggetti del desiderio), sapendo quanto ci piaccia giocare con le cose e quanto le cose (e la connessione con esse) possano diventare per noi ben più importanti dell’essere e persino dell’avere, credendo anzi di poter essere solo connettendosi in rete. Rete che continuiamo a pensare neutra e di poterla usare liberamente e a piacimento, mentre in realtà le forme tecniche (Anders) si sono ormai sovrapposte, espropriandole, alle forme sociali e umane, per cui oggi pensiamo, viviamo, lavoriamo, ci divertiamo solo ed esclusivamente secondo le forme e le norme di funzionamento della tecnica. Che non controlliamo ma alla quale, semplicemente dobbiamo adattarci, così come i neoliberisti ci impongono di adattarci al mercato (ovvero, siamo sempre più dentro al Grande Irrazionalismo del razionalismo).
La sua è la posizione, a mio avviso molto sensata, di chi critica i cyber-libertari e sottolinea invece come la rivoluzione digitale abbia operato una metamorfosi del lavoro e una reinvenzione dell’alienazione attraverso la creazione di eserciti di “lavoratori digitali”, miliardi di persone che “lavorano” gratuitamente creando profitto per alcune delle aziende più ricche e potenti del globo. Andrebbe aggiunto che queste aziende – Google, Facebook e via dicendo – oltre ad essere diventate dei giganti economici stanno anche diventando istituzioni culturali che solo modificando un algoritmo possono cambiare la nostra percezione del mondo. Si tratta dunque di una influenza, per ora soprattutto potenziale, sulla popolazione mondiale paragonabile a quella dei maggiori conglomerati mediatici o delle più grandi istituzioni religiose. A tal proposito, Demichelis ci mette in guardia ricordando che:
scopo della tecnica e del capitale è quello non di liberarci dal lavoro ma di estrarre quanto più profitto e quanta più produttività è possibile da ciascuno di noi.
Molto condivisibile, a mio avviso. Quello che mi sembra meno condivisibile è leggere questo ragionamento nella forma di un’analisi alle dichiarazioni di Eco riportate dalla stampa. A mio aviso, Eco parlava d’altro ed il suo ragionamento esula da queste analisi.
5. LEONARDO GATTO
In La rete, i social e il tempo perso dietro gli imbecilli (19 giugno 2015), Leonardo Gatto critica l’uscita di Eco sugli imbecilli e ricorda che tra le innovazioni portate dalla rivoluzione digitale c’è la democratizzazione della produzione mediale:
La nuova convergenza digitale muta e aumenta le possibilità creative, operative e divulgative degli attori comunicativi che non si identificano più unicamente nell’èlite di produttori di contenuti che nell’epoca della carta stampata e delle produzioni culturali altamente specializzate potevano accedere al mondo degli autori, in quanto proprio la produzione di contenuti in formato digitale non presuppone quell’alta specializzazione richiesta dai codici di produzione materiale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/12/umberto-eco-su-internet-apocalittico-integrato-o-nessuna-delle-due-cose/1770402/
Qualcuno diceva che non esistono domande stupide, solo le risposte possono esserlo. Ma, per dirla con Giovanna Cosenza, “Ai posteri l’ardua sentenza. :-D”
Ottimo articolo.
Grazie,
“…
Peccato si siano dimenticati, i media, di dire che la frase iniziava con “d’altro canto”. E quando si dice d’altro canto, vuol dire che si è detto tutt’altro prima. E cos’ha detto prima Umberto Eco?
….”
consigliata la lettura completa
https://www.facebook.com/natalinobalasz/posts/1025052050846282
Grazie del commento. Interessante l’opinione di Balasso, ma mi trova quasi completamente in disaccordo.
Premessa: ho utilizzato il condizionale e ho ripetuto dieci o venti volte frasi del tipo, “prendendo per buone le sue dichiarazioni riportate dai giornali”. (I giornali “cartacei” che Eco stima tanto).
Detto questo, contesto le frasi attribuite a Eco – riportate tra virgolette – indipendentemente da quanto afferma primo o dopo.
Inoltre, come scritto nel post, contesto sia quelle “contro i social media” sia quelle “a favore dei social media”.
Ci sono banalita’, semplicismi e generalizzazioni in entrambe. Ho spiegato le mie opinioni in modo piu’ dettagliato nel post in alto.
Come dicevo. sono anche quasi totalmente critico nei confronti del post di Balasso, che sembra sostenere che, cito, ” Viviamo oggi quella che Malinowski ha chiamato nel 1923 “phatic communion”, l’uso del linguaggio non come strumento per i contenuti, ma come attività fine a se stessa, riferendolo agli usi dei popoli primitivi.”
Sbagliato doppiamente, a mio avviso. Sbagliato, in primis, perche’ comunicazione e’ SEMPRE (non solo tra i popoli primitivi) ANCHE “attività fine a se stessa”.
Sbagliato, in secundis, perche’, e mi pare che le rivoluzioni arabe lo dimostrino, il linguaggio e la comunicazione (anche sui social media) NON E’ SOLO “attività fine a se stessa”.
Magari provo a spiegare questa mia opinione in modo piu’ dettagliato in un altro post, ma credo non ce ne sia nemmeno bisogno.
Penso che oltre tutto i social abbiano reso enormi quantità di perone capaci di esprimersi con la scrittura. Vi sembra una cosa da poco? o scontata? Non lo è. La maggior parte della gente finita la scuola smetteva di scrivere, se non faceva un lavoro inerente.
I Social sono un prezioso esercizio di scrittura permanente, mi sembra strano che proprio uno scrittore non capisca.
Scrittura ??? quale ???
quella dei xche’ o della “k” ???
quella dei congiuntivi dimenticati ed uccisi ?
oppure quella di poter scrivere sempre ed ovunque quello che passa per la mente ???
Nel post iniziale Alessio Fraticcioli la butta in politica criticando il tono saccente che Eco avrebbe avuto nella sua analisi, come se tutto cio’ fosse scaturito in un “salotto bene” ed espresso ad un ristretto pubblico di aristocratici.
Cio’ non mi trova affatto d’accordo, se permettete, in quanto, come gia’ da me espresso altrove, le “legioni di imbecilli” sono un fenomeno trasversale che non dipende affatto da ceto, cultura, religione o fede politica.
E’ purtroppo un fenomeno umano (e qui concordo in parte con Eco) che al giorno d’oggi le moderne tecnologie hanno reso piu’ eclatante e visibile.
Conscio che sia un paragone brutto e duro, paragonerei l’aumentata visibilita’ di questi “cretini” all’aumentata possibilita’ di incontrare in giro un folle dopo la rivoluzione di Basaglia; cosi’ come i “matti” i cretini c’erano anche prima che il progresso consumistico aprisse loro le porte.
Grazie del commento, Giorgio.
In realtà credo che stiamo dicendo la stessa cosa, o almeno concetti simili. Tu dici che l’imbecillita’ è un “fenomeno trasversale”, ed io ho scritto che questo è vero, verissimo, tanto che ripetere questo concetto nel 2015 è a dir poco banale:
“lo sanno anche i bambini, l’imbecillità – comunque la si voglia definire – esisteva ed esiste anche fuori dalla Rete e gli imbecilli parlavano e parlano anche a casa, al bar, in piazza, nei luoghi di lavoro e ovunque si trovino. Inoltre gli imbecilli comunicano anche attraverso altri mezzi di comunicazione: ci sono imbecilli alla radio e in televisione, sui giornali e anche sui libri.”
Ed ancora:
“dire che la popolazione mondiale è formata da “legioni di imbecilli” — forse la frase più ripresa dai “giornali cartacei” dei quali Eco tesse le lodi – non è né una novità né tantomeno una scoperta epocale. Credo anzi sia un fatto che persino gli imbecilli intuiscono più o meno tra la pubertà e la maggiore età.”
Per il resto, tu dici che ho deviato troppo il ragionamento sulla politica. Ma, mi perdonerai, è a dir poco arduo parlare di mezzi di comunicazione senza entrare nella politica, soprattutto quando qualcuno si lamenta che un medium ha dato “diritto di parola” ad una certa categoria di persone (alla quale lui, ovviamente, non appartiene).
Per l’intervento di Anatto – social media come palestra di scrittura per gli analfabeti di ritorno – credo che il ragionamento non sia sbagliato. Probabilmente esistono studi a riguardo, ma non me ne sono mai occupato. Non mi meraviglierei se questi studi dovessero dimostrare che, come sostiene Anatto, tramite l’esercizio quotidiano sui social media, milioni di italiani e non italiani evitano di cadere nell’analfabetismo di ritorno.
Ovviamente, a mio avviso questo aspetto è del tutto secondario rispetto ai tanti altri impatti, profondissimi e dei quali è ancora difficile prevedere gli ulteriori sviluppi, della rivoluzione portata da internet e poi dai social media nella comunicazione, società e politica.
non è “scrittura”, è oralità scritta, e ancora adagiate voi stessi nel non essere? Perché…? “Homo internetticus” era troppo difficile da leggere quando fu pubblicato ani, fa , oslo perché era in ingelese, una lingua che tutti parlano e nessuno conosce mai , dico “quasi mai” per esser più realistico, davvero? E il testo del Carlini in proposito del 1999?ERa già troppo tempo fa, COME USA FARE Oggidì, per accoglierlo nel vostro scrigno della Conoscenza?
Buon prosieguo di nulla, grazie per lì’accoglienz,a o dissimulata tale (vi ha mai eccitato il CONOSCERE? Pardonnez-moi…, a voi l’esprimervi, ora, o far finta di nulla, as usual)
Grazie per il commento, o dissimulato tale, da lei lasciato oggidì.
Lo accoglieremo senz’altro nel nostro scrigno della Conoscenza, inshallah.
Bonne journée, chúc một ngày tốt lành.
Incidentalemente…distrattamente, si può?… non sono concentrato, ho pochi minuti, nemmeno dieci , contabilizzo, di tempo, mi sia perdonata la stoltezza, …dunque…il tutto, cara e docile Asia, invece di ambire sine spe ac metu con forza ed esondante femminilità pensante – la unica che io sappia essere tale (non mi pare di sbagliarmi, forse tautologicam,ente, ma la curva di Gauss è testarda, atrocemente testarda come i fatti -o cosidddetti tali, ma questa è una lunga storia- sanno essere), a chiarire, a , il tutto è self explanatory. Non vi poteva, a parte subjecti, miglior validamzione della probabile frase, frasi di commento di Umberto Eco. Pare frutto, ciò, della gabbia mediatica nel suo acme di infiorescenza caduca e a priori sempre , o quasi, mostrantesi penosamente fallace. Peccato, un’ altra chance mancata (vale una vita, si badi, e una vita non è cosa da poco, non lo è, affatto non lo è, non lo continuate, nell’esporvi alla produzione di sé in tal modo, a credere, ubriachi di media e di berlusconismo, mai, ho detto mai!).
Anche soltantoo considerando la concentrazione, statisticamente, e quindi il ferale vizio generalizzante (del declamatore della “2non generalizzazione”- e sono vent’anni,- il periodo non è non sospetto- che va avanti questa storia della non generalizzazione, come la “alchimia relazionale” -ben altro dalla alchimia junghiana, olezzoso il fraintendere- o …”gli odori…colori, sapori”… e tutto il resto del raccogliticcio non pensante-gaudente della uccisione della Madre, sub specie femminismo, cioè la sua negazione e truce oblio, nell’atro erebo delle mancati donne contemporanee, insomma…non generalizzazione che è a sua volta grande generalizzazione, se non ,logicamente , la più grande possibile, in senso convenzionale) del dire “ovunque c’è il cretino” (io sono ovunque, dunque, e sono lieto dell’appercezione, e non deve esser percepito troppo come una melensa e amena boutade), anche solo considerando la concentrazione di noi cretini sul web, il tasso di densità mefitico quanto liberale ma lutulento lo stesso, sul web, la teoria di (mancate) argomentazioni della sedicente Asia (altra cosa, altri luoghi , di anima e mente , corpo e, insomma, psychè intendo) è un “addendum” alla sequela, alla lista, di cui avvertiamo com,unque la vertigine (scusino costoro la citazione piuttosto “banalotta”, era solo per citare, direbbe chi ci manca, Arnaldo Bagnasco, era una sera con Carmelo Bene).
Si presta il fianco, tutto e in infinite angolazioni parziali, alla totale sconfessione, in punto di arida logica, e di buon senso (quel René Descartes faceva sempre sorridere, ma aveva visto bene, con buon senso appunto, anche, non soltanto, nell’incipit del “Discorso sul metodo”).
Asia, perché? Cui prodest? E, ripeto, imperterrito io, “fino a quando”?
Ancora una esistenza mancata (da ciò si evince, come da chi e come e quando si fa e va e relaziona , o non relazione, con coazione a ripetere, si evince molto… e molto di più di quanto l’autore voleva, misero, fare intendere, molto di più, e con occhio umano, di considerazione e “com”-prensione guardiamo, valutando antropologicamente con sguardo obliquo e decentrato , tanto quanto possibile, con “demartiniana” attitudine, non per stigmatizzare “l’altrui ingegno”, no, mai. Quasi che l’Opus -più e diversamente che aperta , quindi- si vendicasse, miserrima, di costui, o del mancato costri, costei, dell’Autore, dell’Autrice), un’occasione mancata di dialogo, di intendimento, che in rete, poi, incidentalemtnte dico, credo nsia rarissimo, proprio auscultando i migliori, anzi le migliori, che sarebbero le mie prefereite in quanto ALTRO-DA-SE’, e un altra opinione da bar, che, suvvia, è godibilissimo condividere, godere, ascoltare e interloquire al bar, ove ce ne fossero ancora, di bar ove ciò avvenisse…poichgè la gente, che sul web NON si incontra, livida zittisce e vittima, ferocemente, ferisce e va, scura in volto, avanti verso il NIhil.
Duqneu, come chiusa indegna del mio pessimo intervento (me ne rendo appena conto…), aliena vitia in oculis habemus a tergo nostra sunt , seguo, da cretino io, il Seneca, che cretino, oso dire, non doveva tanto essere, anzi, forse non era…chissà, nella communis opinio doctorum , nevvero ASia, dolce Asia, spero presto rinascente a sé stessa? Un sorriso, conciliante ancora, e bensì duro il commento, ma tenero il sorriso, accogliente, umano, e prestando il fianco alla tritatura da web, non è facile odiare con tenerezza , diceva un certo Mario Tronti alle femministe, meravigliose femministe, tanto tempo fa, ero piccolo assai, io,; ed ora bonsoir , madamoiselle,
Dott. Pierluigi Pettorosso
Hai pienamente ragione, Dott. Pierluigi, buona giornata.