Cina, coronavirus (quasi) sconfitto: riapre la Fabbrica del Mondo, ma non sa più a chi vendere

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Cittadini in fila per ricevere carne di maiale durante il periodo di “quarantena” a Wuhan, nella provincia di Hubei, Cina. Foto AFP

Giovedì in Cina zero nuovi casi di COVID-19: la produzione può ripartire, ma l’economia mondiale si è fermata

(Asiablog.it) — La Cina sta cercando di rimettere in moto la sua economia dopo che le misure draconiane varate a gennaio per rallentare la diffusione dell’epidemia di nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) hanno ottenuto i risultati sperati.

In Cina il numero di contagi ha iniziato a ridursi alla fine di febbraio, circa un mese dopo l’istituzione di un cordone sanitario intorno a Wuhan, la città considerata l’epicentro della diffusione del nuovo coronavirus.

Il 19 marzo, per la prima volta dall’inizio dell’epidemia e due mesi dopo l’imposizione di misure di contenimento della crisi sanitaria a Wuhan e in altre città della provincia dello Hubei, il numero di nuovi casi domestici registrati in Cina è sceso a zero.

Adesso l’obiettivo prioritario di Pechino è riportare la produzione ai livelli precedenti la crisi, che rischia di causare una contrazione del Pil nel primo trimestre dell’anno: sarebbe la prima volta da quasi mezzo secolo (dal 1976, per la precisione).

Negli ultimi giorni in tutto il Paese i lavoratori hanno iniziato a tornare nelle fabbriche e negli uffici rimasti chiusi per oltre un mese e in questi giorni stanno gradualmente riaprendo. Anche nello Hubei, la provincia focolaio dell’epidemia, dove si sono registrati 3.144 dei 3.261 decessi (dati del 22 marzo), le autorità hanno ordinato alle attività strategiche di riprendere la produzione. Ma riavviare la macchina industriale cinese è più difficile che bloccarla, come hanno spiegato alcuni approfondimenti apparsi sul Financial Times, sul Wall Street Journal e sul New York Times.

I motivi sono presto detti. Innanzitutto si tratta di una crisi particolare. La gente capisce che un’emergenza del genere non finisce da un giorno all’altro. Rimane un certo livello di ansia e paura. Per cui probabilmente ci vorranno settimane o mesi prima di vedere i negozi, i ristoranti, i cinema, i centri commerciali e gli stadi affollati come nell’era pre-coronavirus.

Inoltre i consumatori sono a corto di liquidità dopo che centinaia di milioni di cittadini per diverse settimane — circa due mesi, nello Hubei — hanno ricevuto stipendi ridotti o, nel caso di molti commercianti e imprenditori, hanno registrato forti riduzioni degli introiti.

Per favorire la ripresa, il Governo di Pechino ha adottato un approccio dirigistico, ordinando agli istituti di credito di essere indulgenti nei confronti dei pagamenti dei debiti arretrati. La China Banking and Insurance Regulatory Commission (CBIRC, il principale organo di pianificazione bancaria del Paese) ha proibito alle istituzioni bancarie di ritardare o interrompere la concessione di prestiti alle imprese che hanno subito la chiusura durante l’epidemia e ha ordinato loro di rinnovare i prestiti in scadenza dopo il 25 gennaio. Il provvedimento ha riguardato circa 22 milioni di piccole imprese. Nel frattempo diverse città e province hanno sospeso o ritardato la scadenza per il pagamento delle tasse e stanno offrendo prestiti a residenti e imprese.

Anche la domanda estera, sulla quale si basano molte imprese cinesi piccole e grandi, nelle ultime settimane si è compressa in modo sostanziale a causa delle restrizioni sulle spedizioni, degli annullamenti degli ordini e della diminuzione della domanda mondiale. La pandemia del nuovo coronavirus Sars-Cov-2 sta avendo un impatto pesantissimo sull’economia globale.

E per Pechino è e sarà questo, probabilmente, il problema maggiore. La Fabbrica del Mondo sembra sul punto di far ripartire la sua macchina produttiva, ma l’economia globale si contrae di giorno in giorno, di pari passo con la pandemia che si diffonde e infetta i maggiori clienti della Cina: i mercati sviluppati dell’Europa e degli Stati Uniti.

Senza dire che se in Cina si dovesse verificare un nuovo aumento nel numero di contagi, magari favorito proprio dalla riduzione delle misure contenitive, si finirebbe per interrompere nuovamente la produzione. Le conseguenze sarebbero gravi anche sotto l’aspetto psicologico, con l’intera popolazione che inizierebbe a temere che le misure speciali adottate per gestire l’emergenza possano divenire la norma, piu’ che un’esigenza temporanea.

Anche mettendo in conto un forte stimolo fiscale e i tagli ai tassi di interesse, le stime per la crescita cinese nel 2020 variano dall’1% al 4%, rispetto all’obiettivo iniziale del 6%. Una forbice molto larga, che dipenderà in buona parte da quanto sara’ profonda l’inevitabile paralisi economica mondiale.

Nel bene e nel male, l’economia globale si basa sulla connettività. Il rilancio del commercio mondiale e di reti di approvvigionamento ben funzionanti sono essenziali per rianimare la crescita sia in Cina sia in Occidente.

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Alessio Fratticcioli

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Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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4 Responses to Cina, coronavirus (quasi) sconfitto: riapre la Fabbrica del Mondo, ma non sa più a chi vendere

  1. estevamweb says:

    Você está onde? Mora onde? Sempre acompanho seus posts esclarecedores… Melhor Lé-lo que assistir determinados programas de TV brasileiros…

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  3. giacomo matteucci says:

    Carissimo amico,
    Non so bene dove tu sia ma ti auguro un sereno isolamento. Se per caso tu fossi in Thailandia spero che le cose non si mettano troppo male, le notizie che mi giungono da laggiù sono poco rassicuranti considerando che vige una dittatura militare.
    Detto ció, ti racconto che qui in California la situazione è molto grave ma la gente continua a fregarsene. Per fortuna viviamo in una zona pressochè remota.
    Come sempre ti mando un abbraccio.
    Sempre aspetto una tua risposta.
    Tenete duro!
    Giacomo

    • tiziano matteucci says:

      Giacomo, se leggi la sua “lunga e noisa biografia” (che una volta era anche: buffa) scopri che, non saprei ora, ma da 5/6 anni era a Kuala Lumpur e (ma solo forse) è ancora lì.

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