Magna Charta Libertatum

Avram Noam Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928) – Wikipedia

«Che razza di mondo festeggerà il millesimo anniversario della Magna Carta, il documento sui diritti dei cittadini d’Inghilterra che re Giovanni Senza Terra dovette firmare nel 1215?

Dipenderà da ciò che facciamo oggi.

E le prospettive non sono buone.

La prima edizione critica della Magna Carta fu pubblicata nel 1759 dal giurista inglese William Blackstone, la cui opera costituì la fonte del diritto costituzionale degli Stati Uniti d’America. Si intitolava The Great Charter and the Charter of the Forest, La Magna Carta e la Carta della Foresta.

Entrambi i documenti hanno ancora oggi grande rilevanza. Il primo, cioè la carta della libertà, è la pietra miliare dei diritti fondamentali dei popoli di lingua inglese, cioè – nella definizione di Winston Churchill – “la carta di ogni uomo che si rispetti in ogni paese e in ogni tempo”. Nel 1679 la Magna Carta venne integrata dalla legge sull’habeas corpus, la legge per meglio garantire la libertà del suddito e per prevenire l’incarcerazione oltremare”. La sua versione moderna, più aspra, è la rendition, cioè il rapimento a fini di tortura praticato in questi anni dal governo degli Stati Uniti.

Anche il principio fondamentale della “presunzione di innocenza” ha ricevuto recentemente un’interpretazione originale. Nei calcoli effettuati per redigere la kill list di terroristi voluta dal presidente Barack Obama, “tutti i maschi da servizio militare presenti in una zona di attacco” sono conteggiati come combattenti “a meno che informazioni esplicite non dimostrino in via postuma la loro innocenza”. Oggi per salvaguardare il sacro principio basta questa dimostrazione d’innocenza postuma. Ecco il migliore esempio dello smantellamento della “carta di ogni uomo che si rispetti”.

L’altro documento, la Carta della Foresta, è forse oggi ancora più importante. La Carta invocava la protezione dei commons, o beni comuni, da ogni potere esterno. I commons erano la fonte di sostentamento della popolazione, il suo combustibile, il suo cibo, il suo materiale da costruzione. Ma la foresta non era un deserto: era coltivata e curata in comune; le sue ricchezze erano a disposizione di tutti e venivano tutelate per le generazioni future. Ma nel diciassettesimo secolo la Carta della Foresta era ormai caduta vittima dell’economia mercantile. Non più protetti per un uso cooperativo, i beni comuni furono limitati a ciò che non poteva essere privatizzato, e questa definizione si restringe ogni giorno sotto i nostri occhi.

Il mese scorso la Banca mondiale ha stabilito che la multinazionale mineraria Pacific Rim può portare avanti il suo procedimento contro il Salvador che ha tentato di difendere terre e comunità dall’attività estrattiva dell’oro, che è molto distruttiva. La tutela dell’ambiente impedirebbe alla multinazionale di realizzare profitti in futuro, e questo è un crimine contro i diritti dell’investitore, erroneamente chiamati “libero mercato”. Questo è solo un esempio delle lotte in corso in gran parte del mondo.

Elinor Ostrom aveva vinto il Nobel per l’economia nel 2009 con la sua opera in cui ha dimostrato la superiorità dei beni comuni gestiti dai loro utenti. Ma lo smantellamento della Carta della Foresta e dell’idea di bene comune è stato accompagnato in questi secoli dall’idea che gli esseri umani siano ciecamente animati da ciò che all’alba della rivoluzione industriale i lavoratori statunitensi chiamavano “il nuovo spirito del tempo, conquistare ricchezze dimenticando tutto salvo se stessi”. Da allora sono stati fatti sforzi enormi per instillare quel nuovo spirito del tempo. Ci sono interi settori del marketing dediti a quella che Thorstein Veblen, il grande studioso di economia politica, chiamava “induzione di bisogni”: indirizzare le persone verso le “cose superficiali” della vita. In tal modo le persone sono spinte a ricercare solo il vantaggio personale, e distolte dal pericoloso tentativo di pensare con la loro testa, agire insieme e sfidare l’autorità.

Alla testa del movimento per affrontare la crisi ambientale globale e la distruzione dei beni comuni sono, in tutto il mondo, le comunità indigene. La posizione più forte è quella assunta dall’unico paese in cui sono al governo, la Bolivia, la nazione più povera del Sudamerica e vittima da secoli della distruzione delle sue ricche risorse da parte dell’occidente.

Dopo il vergognoso fallimento del vertice di Copenaghen del 2009 sui cambiamenti climatici globali, la Bolivia ha organizzato un vertice dei popoli al quale hanno partecipato 35mila persone provenienti da 140 paesi. La conferenza ha chiesto una drastica riduzione delle emissioni e una Dichiarazione universale dei diritti della Madre Terra. È una richiesta cruciale delle comunità indigene di tutto il mondo, che è stata messa in ridicolo dai raffinati occidentali.

Eppure se non riusciremo a fare nostra almeno in parte la sensibilità delle comunità indigene, è probabile che saranno loro a ridere per ultime. E sarà una risata di cupa disperazione.»

(Noam Chomsky – Un nuovo spirito del tempo – Internazionale n.958)

 

Tiziano Matteucci
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"Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ’l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui." (Dante Alighieri - Inferno, V). Per il resto non c'e' molto da dire. Pensionato italiano che ora risiede in una cittadina del nord ovest della Thailandia per un assieme di causalità e convenienze ... c'è solo una cosa certa: "faccio cerchi sull'acqua ... per far divertire i sassi" (Premdas)
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