Ad aprile 2015 il governo thailandese ha ricevuto un avvertimento dalla Commissione Europea a seguito delle violazioni dei protocolli IUU, norme che combattono la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. L’avvertimento è un “cartellino giallo” che, nel caso in cui la Thailandia non dovesse prendere iniziative adeguate, potrebbe portare ad un “cartellino rosso“, che sancirebbe il divieto assoluto di esportazioni di pesce thailandese nei 28 stati europei.
Quest’anno un team di ispettori UE ha presentato un rapporto sulle misure finora adottate da Bangkok nel quale la Thailandia è accusata di non aver fatto abbastanza.
Bruxelles, aprile 2016 – L’Unione europea conferma la minaccia di un divieto di importazione di pesce dalla Thailandia, una delle maggiori esportatrici mondiali del settore, perché non sta ancora facendo abbastanza per migliorare le attività di pesca e le salvaguardie sul lavoro.
“Continuiamo ad avere serie preoccupazioni circa le misure adottate dalle autorità thailandesi per combattere la pesca illegale e non regolamentata. Ciò significa che ulteriori azioni da parte della Commissione UE non possono essere escluse”, ha detto un funzionario, che ha chiesto di non essere identificato a causa della riservatezza dei colloqui in materia.
Le autorità thailandesi sostengono che stanno lavorando duramente per cambiare radicalmente le pratiche del passato. Ma devono anche affrontare la questione degli abusi sul lavoro, che indagini esterne definiscono: schiavitù.
I funzionari dell’UE hanno detto che le questioni della schiavitù e del lavoro sono intrecciate con l’industria della pesca illegale, e che una pulizia del settore genererà automaticamente anche un impatto positivo sulla situazione del lavoro.
“Ultimamente abbiamo ricevuto poche evidenze sulla riforma da parte del governo thailandese e ulteriori prove, da paesi terzi e da organizzazioni non governative, di pratiche illegali o di una mancata applicazione”, ci ha detto il funzionario.
Entrambe le parti si incontreranno di nuovo il mese prossimo a Bruxelles. (AP)
Questa rinnovata scelta di ammonire ma non escludere la importazioni ittiche thailandesi dal mercato UE, nonostante che “ultimamente ci siano poche evidenze sulla riforma da parte del governo thailandese ed ulteriori prove di pratiche illegali o di una mancata applicazione” – a fine 2015 gli attivisti di Greenpeace manifestavano il loro dissenso evidenziando gli scarsi passi in avanti della controparte thailandese -, a me pare più che altro una dilazione e, sempre che la Thailandia non acceleri improvvisamente i controlli e le riforme del settore, al prossimo incontro (a luglio) c’è da scommettere in un nuovo rinvio (non per nulla molti osservatori giudicano molto improbabile il “cartellino rosso”).
Il governo thailandese, per conto suo, ha preso atto ed ha ribadito le intenzioni di portare a soluzione il problema.
Sino ad ora è andata così: l’arbitro, dopo aver sorvolato su molti falli commessi (qui un articolo sugli schiavi del mare risalente al 2010 e, dedicati alla Thailandia, qui del 2014 e qui del 2016), estrae il cartellino giallo e lo sventola in faccia al giocatore.
Lo ha già fatto con altri giocatori che, recidivi, si sono visti sventolare in faccia il cartellino rosso (Belize, Guinea, Cambogia e Sri Lanka). Ma questa volta è come se il mondo si fosse fermato nella fotografia di un arbitro che estrae un cartellino giallo e continua a mostrarlo.
Forse perché il giocatore ammonito, questa volta, non è un comprimario ma un rinomato campione?
La Thailandia è il terzo più grande esportatore mondiale di prodotti ittici, con una quota del 8,1% delle esportazioni mondiali, l’estrazione di un “cartellino rosso” significherebbe la chiusura immediata di un settore – non ultimo il ramo chiave del tonno in scatola, di cui la Thailandia è uno dei più grandi produttori al mondo -.
Thai Union Group è il più grande produttore di tonno in scatola al mondo e leader nella produzione di prodotti ittici a livello mondiale. I suoi impianti di produzione si trovano in molte parti del mondo, in Europa sono in Francia, Portogallo, Polonia e Scozia. Il marchio italiano Mareblu è di proprietà di Thai Union Group.
La UE ammonisce (minaccia) la Thailandia che ha bisogno del ricco mercato europeo per mantenere la sua quota di mercato globale ma, forse, anche la UE non può permettersi la minaccia (?) di chiusura degli stabilimenti europei.
Il funzionario “ha chiesto di non essere identificato a causa della riservatezza dei colloqui in materia“. Cosa ci può essere di “così riservato”, in una discussione interna UE, che riguarda anche la schiavitù di esseri umani? Forse si è discusso più delle ricadute sull’occupazione e l’indotto europeo che della schiavitù di esseri umani del lontano oriente?
Per ricollocare il nostro mondo economico su una base più sicura si richiede una migliore comprensione del fragile equilibrio tra i mercati e la governance. In questo libro io propongo una narrazione alternativa, basata su due semplici idee. Innanzitutto, i mercati e i governi sono fra loro complementari, e non possono essere costruiti gli uni con gli altri. Se vogliamo più e migliori mercati, occorre avere più e migliore governance. I mercati operano al meglio non dove gli Stati sono più deboli ma dove sono forti. In secondo luogo, non esiste un modello unico di capitalismo. La prosperità e stabilità economica può essere ottenuta con varie combinazioni di assetti istituzionali relativi ai mercati del lavoro, la finanza, il governo d’impresa, il welfare statale e altri settori. Ci si deve aspettare che le nazioni facciano – e abbiano tutto il diritto di fare – scelte differenti tra questi assetti secondo le proprie esigenze e i propri valori.
Per quanto banali passano apparire, queste idee hanno enormi implicazioni per la globalizzazione e la democrazia, e per la loro reciproca compatibilità. Una volta compreso che per funzionare correttamente i mercati richiedono istituzioni pubbliche di governance e regolamentazione, e una volta ammesso che le nazioni possono avere preferenza diverse sulla forma che quelle istituzioni e regolamentazioni devono assumere, ci troviamo a raccontare una storia che porta a conclusioni radicalmente diverse.
In particolare, incominciamo a comprendere quello che chiamerò il trilemma politico fondamentale dell’economia mondiale: non è possibile perseguire simultaneamente la democrazia, l’autodeterminazione nazionale e la globalizzazione economica.
Se vogliamo spingere più avanti la globalizzazione, dobbiamo rinunciare allo Stato nazionale oppure alla politica democratica. Se vogliamo mantenere e approfondire la democrazia, dobbiamo scegliere tra lo Stato nazionale e l’integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato nazionale e l’autodeterminazione, dobbiamo scegliere tra maggiore democrazia o maggiore globalizzazione. I nostri problemi affondano le loro radici nella riluttanza da parte nostra ad affrontare queste scelte ineluttabili.
(La globalizzazione intelligente – Dani Rodrik – Ed. Gius.Laterza & figli)
La globalizzazione finanziaria ha creato dei mostri talmente grandi che possono tenere in sospeso diritti umani e democrazia?
Fonte immagine: BBC – Thailand’s fishing industry ‘puts children at risk’, report says
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