APEC in Cina: i grandi del Pacifico cercano nuovi (e vecchi) alleati

APEC 2014 China Daily.

Cerimonia di apertura del Summit APEC 2014, Pechino, Cina. Foto China Daily.

L’APEC 2014 (Asia-Pacific Economic Cooperation), tenutosi a Pechino dall’8 al 10 Novembre 2014, è stato un susseguirsi di sorprese. E non tanto sul piano economico (argomento alla base del summit), quanto su quello politico. Infatti, a ben vedere, la maggior parte dei risultati ottenuti, dalle Nazioni partecipanti, vanno proprio in questo senso.

Innanzi a tutti, e non poteva essere diversamente, la nazione ospitante il summit. La Repubblica Popolare Cinese per settimane ha cercato di reprimere (quasi) pacificamente, a differenza di altre rivolte, le manifestazioni giovanili ad Hong Kong. Anche se, nei giorni antecedenti il “grande evento” ha limitato alla popolazione di Pechino l’utilizzo di auto e di tutto ciò che rendere spesso la capitale cinese un ammasso di grattacieli nascosti dallo smog. Unico scopo: rendere il cielo del “Celeste Impero” di un ormai dimenticato azzurro limpido.   

Nelle settimane precedenti l’inizio del Summit si erano susseguite innumerevoli speculazioni sulla partecipazione o meno, del presidente USA Barack Obama. Quando, circa una settimana prima della sfarzosa cerimonia di apertura, la partecipazione USA veniva confermata, lo scacchiere mondiale subiva un sussulto e le pedine hanno iniziato a muoversi.

Primo fra tutti Kim Jong-un, capo indiscusso della Corea del Nord, che faceva avviare da suoi alti gerarchi le trattative per il rilascio di due cittadini statunitensi, Kenneth Bae e Matthew Todd Miller, detenuti a nord del 38esimo parallelo da mesi. Bae e Miller, condannati a 15 anni di lavori forzati per crimini contro lo Stato, sono stati rilasciati il 7 Novembre. Sebbene il dittatore nordcoreano non si sia espresso su una possibile distensione al tavolo delle trattative sul nucleare, la concessione della libertà ai due statunitensi è stata vista da molti come un chiaro segnale di disgelo nei confronti dell’acerrimo nemico d’oltre oceano.

Il giorno successivo, 8 Novembre, giorno dell’apertura dell’APEC, la “politica” e fatidica stretta di mano tra il leader cinese Xi Jinping e il primo ministro giapponese Shinzō Abe, anche se il primo ha guardato con fatica la faccia del suo omologo. Fatidica perché, per dirla con le parole del premier nipponico, «Credo che non solo i nostri vicini asiatici, ma anche molti altri paesi abbiano sperato che  Giappone e Cina tornassero a parlarsi e noi lo abbiamo fatto (…)». A dispetto di tutto ciò che l’opposizione giapponese possa tirar fuori da questa frase, è un significativo passo politico in avanti dopo due anni di gelo diplomatico nato dalla disputa territoriale sulle isole Senkaku (Diaoyu per la Cina).

Sempre il giorno 8, al discorso inaugurale, il presidente Xi ha illustrato la “roadmap” che il governo cinese intende seguire nei prossimi anni: accelelare la transizione del mercato cinese statalista all’economia di mercato e abbattimento delle barriere doganali tra i paesi. Linea guida apprezzata anche dai leader di Russia e USA; questi ultimi molto più attivi nella discussione, forse perché il presidente Obama vuole isolare la Cina dall’idea di un grande mercato di libero scambio nella regione Asia-Pacifico. Idea in netto contrasto con quelle di Pechino, che mira ad aprire rapporti economici a tutta l’Oceania, escludendo gli Stati Uniti.

E proprio gli USA, che nei tre giorni del Summit hanno corteggiato il padrone di casa Xi (contendendolo allo Zar Vladimir) ed i rappresentanti delle maggiori industrie cinesi, hanno trovato nuovi e vecchi “appoggi”, in un’area che, secondo il presidente Obama: «Nei prossimi 5 anni vedrà arrivare quasi la metà di tutta la crescita economica al di fuori degli Stati Uniti. Ciò fa di questa regione una opportunità incredibile per creare nuovi posti di lavoro».

Tra i “nuovi” alleati asiatici troviamo le Filippine, sul cui territorio si cerca da mesi di riaprire una ex base USA in funzione anticinese, ed il Myanmar, del presidente Thein Sein, un mercato potenziale, considerando l’intera regione sudest asiatica, di circa 600 milioni di persone. Le “vittorie politiche” di Obama comprendono anche l’altro grande ed importante fatto avvenuto durante questo Summit, e cioè lo storico accordo sul clima raggiunto con Pechino (nel quale si prospetta di ridurre le emissioni statunitensi di un quarto entro 10 anni e di aumentare del 20% la produzione di energia pulita cinese entro il 2030), che avrà un valore prettamente politico per il Presidente USA. Questo perché ora che Camera e Senato Usa hanno maggioranze repubblicane, difficilmente il presidente statunitense sarebbe riuscito a varare nuove leggi sulle politiche ambientali (un po’ come accaduto col Protocollo di Kyoto nel 2001) e questo accordo gli fornisce un’importante alibi nei confronti del suo elettorato.

La Cina, oltre agli accordi diplomatici con Tokyo e Washington, è riuscita ad accaparrarsi un accordo di libero scambio con la vicina Corea del Sud, che eliminerà le tariffe doganali sul 90% dei beni scambiati tra i due paesi (Expo 2013 China – S. Korea = 183mld/Euro). Questo, mentre Putin è riuscito a strappare a Xi una serie di accordi per rafforzare la cooperazione in numerosi settori, tra i quali brilla il comparto energetico. Oltre ad un’accelerazione per la costruzione del gasdotto che dalla Siberia trasporterà il gas a Pechino, le due potenze hanno firmato un secondo contratto di fornitura trentennale da quasi 400mln di dollari. Il presidente russo si è inoltre augurato che la maggior parte degli scambi tra le due potenze avvengano presto in Yuan e Rubli, escludendo perciò il Dollaro dal centro degli scambi mondiali e facendo intendere al mondo che per la Russia non esiste più solo l’Occidente. Il Capo del Cremlino ha anche siglato un accordo con alcuni osservatori iraniani per la fornitura di due nuovi reattori nucleari, da parte russa, più una opzione per altri due.

Si può ben dire perciò quanto la Cina di Xi Jinping e la Russia di Vladimir Putin abbiano fatto la parte del leone a questo Summit, con accordi economici che hanno messo in ombra i risultati di tutti gli altri partecipanti. Ma a parte questa nota oggettiva, tutti i paesi partecipanti hanno cercato di ottenere quanti più vantaggi politici dalle proprie controparti per mirare poi, si spera in un prossimo futuro, a una maggiore integrazione e a un maggior sviluppo economico della regione che porti realmente l’economia globale a ripartire da queste località, troppo spesso sottovalutate dai capitali stranieri.

Fonte immagine: ABC

Christopher Rateo
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